6.0
- Band: THERION
- Durata: 00:48:00
- Disponibile dal: 28/09/2012
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Christofer Johnsson deve essere davvero coraggioso, oppure semplicemente pazzo. Immaginatevi il musicista svedese, pieno d’entusiasmo, di energia positiva e con il sorriso stampato sul volto, spiegare ai responsabili della Nuclear Blast che i suoi progetti futuri sono orientati verso qualcosa di mastodontico, di incredibilmente dispendioso ed ambizioso: Christofer Johnsson vuole guidare la sua nave, chiamata Therion, verso mari sempre più lontani e (quasi) inesplorati, verso isole chiamate “rappresentazione teatrale” oppure “rock opera”, aspettandosi una reazione entusiasta ed il supporto incondizionato. Immaginate ora il volto di Johnsson quando vede i responsabili della sua etichetta abbandonare la nave, tuffandosi senza pensarci un secondo, subito seguiti da un altro ammutinato, Snowy Shaw che, non appena intuisce la direzione del viaggio, si precipita a fare i bagagli e calarsi con la scialuppa di salvataggio. Siamo qui per parlare dell’autoproduzione dei Therion, una band “affermata” che, pur di portare avanti in modo coerente le proprie idee, si accolla le spese di produzione del proprio disco (e qui, il leader maximo della band ci informa poco elegantemente di aver sborsato di tasca propria circa 75000 euro). Stringiamo tra le mani il nuovissimo “Les Fleurs Du Mal”, non un disco di inediti, bensì una raccolta di cover di brani francesi risalenti agli anni ’60 e ’70. Come un cocktail, diluito continuamente da gocce d’acqua, il fattore metal è sempre più blando nelle produzioni degli svedesi, arrivando in questo episodio a rappresentare solo una delle (poche) influenze del combo. Il CD è orientato prevalentemente su una musica sinfonica, orchestrale, dominata dalla superba voce del soprano Lori Lewis, la quale interpreta davvero al meglio i brani ivi presenti, raramente supportata da chitarre elettriche e continuamente sospinta da arrangiamenti pomposi e magniloquenti. Citando brani come la sofferta “Lilith”, l’aggressiva “Je N’al Besoin Que De Tendresse”, quasi power metal, oppure “Poupée De Cire, Poupèe The Son”, che nella sua orchestrazione “esagerata” arriva quasi a somigliare alla sigla di un cartone animato giapponese (Hurricane Polimar?), non possiamo che convenire che siano gli arrangiamenti a dominare il tutto, trascendendo anche dalle singole prestazioni dei musicisti, qui asserviti al risultato finale dell’orchestra, in cui a raccogliere gli applausi (o i fischi) è solo il direttore. Non potendo negare il fascino che questo disco potrebbe esercitare, dobbiamo convenire oggettivamente sul fatto che il tutto è forse esageratamente ostico e pretenzioso. Se non siete fanatici dei Therion, oppure semplicemente odiate la lingua francese (o la lirica), state ben lontani da questo disco, bello, suadente, romantico come una passeggiata lungo la Senna ma… siamo sinceri, quanti di noi non preferirebbero una semplice birra in un metal pub? Aggiungete virtualmente alla valutazione finale un punto per il coraggio e la coerenza delle proprie scelte.