7.5
- Band: THERION
- Durata: 00:57:05
- Disponibile dal: 24/05/2004
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Attenzione: se avete malauguratamente premuto il link relativo a “Sirius B”, cliccate subito su quello per “Lemuria”, senza più transitare dal Via…il viaggio inizia là! Poi tornate qua, però…
Ed eccoci, pronti più che mai ad affrontare l’analisi di “Sirius B”. Prima di procedere, però, tanto per farvi rendere conto del valore e della portata di queste pubblicazioni, snoccioliamo un po’ di numeri e nomi: registrati in tre diversi studi, i due dischi si avvalgono di un’imponente sequenza di musicisti coinvolti e di un parco-strumenti utilizzati, oltre alla solita “attrezzistica” metal, praticamente scevro da lacune. Innanzitutto, il session-drummer (nonché battitore di gong) è l’ottimo Richard Evensand, ex-Soilwork ed ora negli americani Chimaira; all’Hammond e al mellotron troviamo tale Steen Rasmussen; poi, in ordine sparso: 3 suonatori di balalaika, 1 organista da chiesa, 7 cantanti lirici solisti, un coro composto da 18 soprani, 18 alti, 14 tenori e 19 bassi, e l’intera Orchestra Filarmonica di Praga, suddivisa in 16 primi violini, 12 secondi violini, 10 viole, 8 violoncelli, 8 contrabbassi, 2 flauti, 2 oboe, 2 fagotti, 3 tromboni, 4 tube, 8 corni, 1 pianoforte, 1 clavicembalo, 4 tamburi militari e i timpani. E scusate se è poco, per la miseria!! In più, da citare d’obbligo, il fondamentale contributo vocale fornito da Piotr Wawrzeniuk (già abbondantemente elogiato) e da Mats Levèn, già bassista dei recentemente disciolti Candlemass e leader degli Abstrakt Algebra, il cui apporto è realmente un’arma efficace per vincere la diffidenza e la noia che interi dischi cantati da voci operistiche avrebbero generato. Bene, “Sirius B”: seppur le canzoni extra-promo ne aumentino la bellezza in modo piuttosto netto, l’album giallo rimane leggermente inferiore al suo gemello. Partenza più che buona con la demoniaca “The Blood Of Kingu”, interpretata da un Levèn in gran forma, sostenuto da lirismi sempre in crescendo e che terminano assieme al maestoso finale della song. L’Egitto e le sue piramidi, da sempre ispiratori di svariate metalband, da Iron Maiden a Nile, è l’argomento della seguente “Son Of The Sun”, dall’andamento classicamente melodico e parecchio ancorato ai puri stilemi heavy metal, stilemi ai quali i Therion, pur nell’originalità della loro proposta, fanno riferimento sempre e comunque. Il tenore Tomas Cerny ci conduce vocalmente in quel della Siberia, presentando la ritmata “The Khlysti Evangelist”, costruita su di un groove dal notevole effetto e caratterizzata dalle trame oscure del monaco malvagio Rasputin. Rimaniamo in ambienti freddi e tetri anche nella quarta traccia, “Dark Venus Persephone”, esclusa dal promo e stavolta a ragion veduta: il brano risulta probabilmente il meno riuscito di tutti i ventuno componenti le due uscite discografiche, ed è poco più di un filler. In “Sirius B”, proprio come in “Lemuria”, trova spazio anche una suite in due parti, in questo caso intitolata “Kali Yuga”: massicciamente epica e ridondante, usufruisce di buoni cantati lirici, stranamente distorti da effetti vocali, e arrangiamenti futuristici (leggi: la batteria campionata); tutto ciò fino all’esplosione melodica del bellissimo chorus, guarda caso sorretto dalla particolare voce – ancora! – di Wawrzeniuk, che va poi a ripetersi nella terremotante seconda sezione del brano, dove le invocazioni idolatranti tanto care ai Therion diventano terribili ed ossessive. Giungendo alle soglie della settima traccia, imbocchiamo il passaggio segreto conducente al meraviglioso mondo immaginario di Punt, ornato da “fiumi d’oro e laghi profumati”: ad un’intro epico-lirica, segue una lunga parte piuttosto rilassata, composta da chitarre acustiche e pianoforte, atta a rendere bene l’idea dell’oniricità di Punt, sorta di Paradiso celato; la song poi cresce pian piano e sfocia in un finale melodic-metallico tra il deciso ed il sognante (con tanto di mandolini, pure!). “Melek Taus”, il Signore Pavone, viene omaggiato da un pezzo piuttosto anonimo, non fosse per il potente ritornello, composto dalle sole parole del titolo, che dal vivo avrà sicuramente un appeal impressionante. Johnsson e compagni rivolgono l’ennesimo sguardo alle stelle nella terzultima “Call Of Dagon”, ben orchestrata e dall’incedere notturno e quasi soffuso, mentre, con la title-track, si trasformano in mistici evocatori di chissà quale crudele divinità aliena, tramite la ripetizione della semplice formula “po tolo”. Il gran finale – alleluia! – è affidato all’incalzante “Voyage Of Gurdjieff (The Fourth Way)”, aperta da un luminoso vocalizzo lirico, il quale anticipa una coinvolgente power-speed metal song, radente al suolo ogni residuo dubbio rimasto sulla grandezza di questa band! E già, è proprio così…i Therion, con questa mirabile doppia opera, assurgono a Signori indiscussi del symphonic-power-epic metal, in barba a chi, inopportunamente, sventola bandiere tricolori al vento, inneggiando a gruppi che, in quanto a classe, modestia e capacità di emozionare, valgono un sedicesimo rispetto al combo qui protagonista. Innalziamo cori di giubilo e tripudio, la Corona ha infine trovato padrone. Onore e lunga vita ai Therion!