9.0
- Band: THIN LIZZY
- Durata: 00:40:28
- Disponibile dal: 04/03/1983
- Etichetta:
- Vertigo
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La storia di Philip Lynott non si può certo definire monotona. Nato a Birmingham, Inghilterra, nel 1949, ma di origini irlandesi, ci mise davvero poco tempo a farsi riconoscere nel mondo della musica. A diciott’anni entrando negli Skid Row (non quelli americani di “18 & Life”, ma un’energica blues-rock band di Dublino), dove conobbe un certo Gary Moore con il quale collaborerà diverse volte da lì in avanti, e solamente due anni più tardi fondando la sua band nominata Thin Lizzy, nome scelto dal chitarrista Eric Bell prendendo spunto da Tin Lizzie, un robot che spesso compariva tra le pagine di un fumetto di fine anni ’50. L’attività della band fu subito molto producente, con diversi dischi pubblicati a cadenza annuale ricevendo un discreto successo. Il 1976 è però l’anno della svolta che vede la pubblicazione, a distanza di pochi mesi, dei due lavori più rappresentativi del gruppo, grazie ai quali quest’ultimo riuscì a trovare il tanto agognato successo. E parliamo di “Jailbreak”, con al suo interno brani immortali come “The Boys Are Back In Town” e la title-track, e “Johnny The Fox”, dove spicca la spettacolare “Don’t Believe A Word”. I problemi di droga e alcol iniziarono però ad affliggere il gruppo ed in particolare il loro leader e carismatico cantante e bassista Philip Lynott. Anche a causa di ciò, i cambi di line-up divennero sempre più frequenti e, nonostante alcuni lavori di buona qualità come “Chinatown” e “Renegade”, la parabola del gruppo sembrava essere entrata in un’inarrestabile e ripida discesa.
Le premesse non erano quindi per niente buone quando Phil, nel 1983, spinto più da motivi economici visto che la band era indebitata e vicino alla bancarotta, entrò in studio per produrre il tredicesimo disco firmato Thin Lizzy. L’ingresso di John Sykes fu una mossa decisiva; il chitarrista ex Tygers Of Pan Tang, che andrà così ad affiancare una solida colonna alle sei corde come Scott Gorham, diventa fondamentale nel forgiare il nuovo sound della band.
Sonorità decisamente più heavy rispetto al passato che si riflettono anche nell’impatto visivo della cupa e metallica copertina, dove un pugno borchiato emerge dal terreno mentre una chitarra elettrica è sospesa in aria, colpita da un fulmine. Un mood che si manifesta subito con la title-track piazzata in partenza; l’attacco è fumante, aggressivo e diretto, merito del cantato sfacciato ed altamente personale di Lynott, ma anche delle chitarre selvagge di John che, oltre a riff possenti, mette lì un assolo elettrizzante. Ed è subito decisivo anche il contributo del tastierista Darren Warthon, che fonderà più avanti gli eroici Dare, che prende parte allo show con una parentesi solista esaltante.
“This Is The One” mostra un hard rock che si mantiene grintoso e impetuoso. esaltandosi su un ritornello dal forte impatto, mentre la più spigolosa “The Holy War” colpisce con un coretto super coinvolgente. La lenta “The Sun Goes Down” è intima ed intensa, e riesce a regalare enormi emozioni attraverso sonorità che si muovono tra AOR e qualche influenza sci-fi, diventando uno dei brani simbolo di questo spettacolare disco. La voce inconfondibile di Lynott è ancora una volta protagonista regalando passaggi dalla personalità unica, la stessa che portava con sé in ogni sua performance live. Se il lato A è praticamente perfetto, il secondo lato del disco non è molto da meno, aprendosi con l’esaltante “Cold Sweat”, spettacolare esempio di hard’n’heavy scintillante spinto dalle chitarre lucenti suonate dalla coppia Scott Gorham/John Sykes, per poi proseguire sulle note più classiche di “Someday She Is Going To Hit Back”, dove tornano protagoniste le tastiere di Wharton, seguita dal rock’n’roll più classico della compatta “Bad Habits” e dal finale scoppiettante della tumultuosa “Heart Attack”.
Il tour che fece seguito alla pubblicazione di “Thunder And Lightning” fu denominato “Farewell Tour”, anche con l’intento di attirare più gente possibile agli show, provando così a rimettere a posto i conti che affliggevano band. Le cose funzionarono molto meglio del previsto anche grazie all’ottimo riscontro ricevuto in fase di vendite dal disco in questione. Quello che doveva durare tre mesi si prolungò, viste le numerose richieste, per oltre un anno.
“Thunder And Lightning” è l’ultimo vero disco dei Thin Lizzy, visto che, anche per i problemi di tossicodipendenza di Phil, il gruppo si sciolse poco dopo. Si tratta di un lavoro di gran classe, che solo una band di questa caratura poteva permettersi prima di dare l’addio definitivo ai propri fan. Un’opera unica che ha saputo unire il talento di cinque grandi musicisti, tra i quali spiccano fortemente due assoluti protagonisti della nostra musica, due stelle cadute lasciando attorno a loro un grande vuoto. Philip Lynott, scomparso ancora troppo giovane per colpa di una (breve) vita vissuta oltre i limiti, all’età di trentasette anni, e John Sykes, passato a miglior vita solamente qualche settimana fa dopo una carriera costellata dai successi – mai stati abbastanza, visto il talento infinito di questo musicista – con band come Whitesnake, Blue Murder e da solista. Rimangono questi nove immortali brani, spettacolari esempi della musica firmata Thin Lizzy in questa loro ultima versione, maggiormente heavy ma sempre ricca di classe.