7.5
- Band: THOU
- Durata: 77:10
- Disponibile dal: 31/08/2018
- Etichetta:
- Evp Recordings
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Tre mini-album – esploranti i diversi ‘lati’ dello sludge doom dei Thou – pubblicati nel corso del 2018 non sono stati nient’altro che il preludio a “Magus”, il nuovo e quinto lavoro degli sludger americani, ancora una volta portavoce dell’oppressione sonora ed emotiva, sempre più sfaccettata ma sempre orientata e ferma al deterioramento psico-fisico puramente sludge. Scrive la band su Bandcamp: “Questo album è dedicato all’ego sacro, fonte dell’individualità e della complessità unica”. “Magus” è un album che punisce, che annichilisce, che devasta nel profondo e nel fare questo si pone come la prosecuzione (aumentata in portata) di “Heathen”, amplificando ancora di più il senso più eclettico e assetato di influenze maggiori, ma mantenendo la portata mefitica e pesante del doom sludge tanto caro ai Thou, in cui la poesia criptica e paludosa di Bryan Funck assurge ancora a emblema di profondità espressiva, talvolta aiutata dalle tonalità più consolatorie di Emily McWilliams. Quello che si sottolinea, però, è ancora una volta la portata quantitativa del lavoro: settantasette minuti di durata sono difficili da digerire, soprattutto se divisi in tracce da circa dieci minuti l’una e in contesti come questo, tutti d’un fiato. “Magus”, ancora più lungo di “Heathen”, è probabilmente digeribile in più fasi, spezzandolo in parti, senza naturalmente perderne l’individualità specifica e il percorso così come è stato prodotto, ma assimilandolo un poco alla volta, per non rimanerne annoiati (oltre che annichiliti), non tanto per la ripetitività del discorso musicale – cosa che il genere e le intenzioni necessitan o- ma per quanto la potenza espressiva rischia di scemare con l’eccessiva prolissità delle ambizioni della band della Louisiana. Arrivati a “The Changeling Prince” si sente già il senso di nausea esistenziale e il doom sludge della prima parte dell’album lascia pian piano posto ad una vena melodica che si staglia oltre la coltre nera mefitica che si è fatta largo in “Inward” e “Trascending Dualities”. Un vero e proprio baluardo del discorso magno è “In The Kingdom Of Meaning”, in cui le influenze Eyehategod e Crowbar si fondono ad un lontano comparto melodico appassionato tipico di certo black metal e si fonde con lo sludge disfattista dei Thou in tutta la sua espressività mefitica e opprimente, che raggiunge l’uscita del tunnel cimiteriale solo alla fine di “Supremacy”, una volta terminato il disco. Un album difficile, una prova non da tutti, un percorso ostico e sulfureo, ma che premierà proprio per questo coloro talmente folli da potersi addentrare nei suoi lunghi meandri di feedback, riff rallentati e lontani, ma veramente lontani, spiragli di luce e senso esistenziale. Ancora una volta i Thou hanno segnato le carte. Del nero più oscuro, ovviamente.