7.0
- Band: THRYMR
- Durata: 00:37:43
- Disponibile dal: 27/11/2024
- Etichetta:
- Darkness Shall Rise Productions
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Ci sono musicisti che hanno poco da dimostrare, in termini di classe e di integrità; sicuramente Trym Torson ricade nella categoria appieno, vuoi per gli iconici dischi a cui ha preso parte – dai primi lavori degli Enslaved all’intera discografia degli Emperor post-“In The Nightside Eclipse” – ma anche per l’approccio mai sopra le righe nella vita personale. E non è cosa da poco, se parliamo di una figura cardine della scena norvegese dei primi anni Novanta.
Con i Thrymr (il re dei giganti della mitologia norrena, ma anche un ovvio richiamo al nickname che da sempre si è dato) il Nostro si dedica a un pallino di vecchia data, legato alla sua passione per il cinema, componendo quella che, se non è una vera e propria colonna sonora, è comunque una interessante collazione di frammenti che hanno sicuramente la loro potenza visiva.
“Landsbyen” mostra subito l’approccio fortemente cinematografico, e fedelmente al suo titolo (‘villaggio’) espone forti elementi folk e strumenti tradizionali, quasi una canzone da ballo di gruppo a corni colmi di idromele sollevati. “Trusselen” cambia le carte in tavola: un inquietante crescendo rumoristico, con droni, tastiere scary e archi. La sensazione di orrore montante prende ancora più piede nella seguente “Slaget”, ispirata chiaramente a certe cose di Bernard Herrmann, toccando poi l’apice su “Gravferd: meno apertamente horror, è forse il brano più oscuro e d’atmosfera, estremamente dilatato, giocato su tastiere, oboe e cori sintetici quasi impalpabili, con un senso di strisciante orrore che prende forma.
Dopo lo sepoltura (“Gravferd”, ‘sepoltura’, appunto, in norvegese) è tempo di “Sorgen”, ossia ‘dolore’; siamo in territori musicali analoghi, ma qui prevale la malinconia, come se un cielo plumbeo si chiudesse progressivamente sopra di noi. È poi il momento dei ricordi (“Minner”) e funziona benissimo il pianoforte come voce principale, presto doppiato, triplicato da synth riverberati e da archi trasognati sul finale. “Vandring” e “Håpet” rispondono alla ricomparsa progressiva di forme di vita sul villaggio dove è iniziato questo viaggio: in entrambi i brani ritroviamo echi degli Ulver di “Kveldssanger” e il pieno ritorno di quell’atmosfera da saga vichinga su cui si apriva il disco.
È insomma un disco particolare, non certo perfetto, ma frutto sincero di una passione che Trym ha coltivato per anni e ha deciso, infine di condividere: nel complesso, parliamo di nostalgia per un tempo che fu, sia in termini musicali che folkloristici, ma espressa con la serenità di un buon compositore ed esecutore.