7.5
- Band: THULSA DOOM
- Durata: 00:41:38
- Disponibile dal: 30/09/2022
- Etichetta:
- Invictus Productions
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Il circuito underground italiano sembra godere di buonissima salute in questo periodo, perlomeno giudicando da certi lavori capitati di recente sulle nostre scrivanie. Volendo restare sul versante più cupo ed estremo del panorama, Settembre si è aperto con il disperato death-doom degli In Grief, ci ha quindi proposto il death-thrash tecnico e funambolico dei Miscreance e ora, sul finire del mese, ci regala l’atteso ritorno dei Thulsa Doom, realtà death metal capitolina che aveva molto ben impressionato con l’EP di debutto “Realms of Hatred” ormai quattro anni fa. Quando sembravano essere definitivamente spariti dai radar, ecco quindi rispuntare i ragazzi romani, con un album di dieci tracce che riconferma in pieno lo stile dell’esordio, oltre ad introdurre un songwriting ancora più sicuro e avvolgente.
Da tutto il lavoro traspare con grande chiarezza l’entusiasmo e l’urgenza che hanno mosso il trio nel comporre le nuove canzoni: di nuovo, non vi sono tocchi sperimentali o esperimenti di qualsivoglia natura; ciò che spicca è un suono nettamente e fieramente vecchia scuola, all’interno del quale i Thulsa Doom si muovono con la sicurezza dei veterani. Nonostante la giovane età, il gruppo resta tradizionalista nel modo di comporre e nelle innegabili radici, le quali riportano, ovviamente, ai dettami di Necrovore, Incubus, Sadistic Intent e – soprattutto – al primissimo periodo dei Morbid Angel. Ispirati in primi da “Abominations of Desolation” e “Altars of Madness”, la band suona e compone sulle ali di una verve che sembra a tratti trasformarsi in vero e proprio fanatismo, trasportandoci in una dimensione fisica, quasi tribale, da cui emerge la capacità di rapire l’ascoltatore in un reticolo mefistofelico. In questo marasma di death metal diabolico, emerge tuttavia anche un indiscutibile criterio nella gestione della veemenza, con tanti cambi di tempo a rendere l’ascolto tutt’altro che piatto e parti strumentali sempre piuttosto ricercate.
Come sempre in questi casi, il disco rappresenta un’esperienza realmente appagante solo per i fan e gli estimatori della band, dei suoi maestri e dello specifico filone a cui essa appartiene, non aggiungendo o togliendo nulla a quanto già non si conosca. Ciononostante, la tracklist di “A Fate Worse Than Death” sa pur sempre offrire un’angolazione diversa a chi ha a cuore l’underground e ha voglia di andare oltre i soliti classici, grazie a moltissimi episodi ben costruiti e qualche vera e propria hit: “Cursed Domains Beyond”, ad esempio, è senza dubbio uno dei migliori brani death metal del 2022.
Una produzione perfetta per lo stile del gruppo è infine la quadratura del cerchio per un album assolutamente godibile e che in più di una circostanza appare come una corsa a briglie sciolte verso l’essenza stessa della libertà, della vitalità, della natura inquieta e vorace che nutre corpo e spirito.