7.0
- Band: THY CATAFALQUE
- Durata: 00:43:30
- Disponibile dal: 16/06/2023
- Etichetta:
- Season Of Mist
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Non è affatto infrequente che un artista, dopo aver esplorato sonorità molto lontane fra loro, decida di prendere la via di casa e tornare lentamente verso le proprie origini. Ma tornare a casa dopo un lungo viaggio può portare a risvolti inaspettati, perchè tutti gli eventi occorsi lungo la strada lasciano sempre un qualche segno, frutto dell’esperienza, dell’età o di qualche fatto capace di cambiarti la vita. La sensazione che ci è rimasta dopo aver ascoltato a lungo “Alföld” è più o meno la stessa: Tamás Kátai, dopo aver raggiunto il massimo della libertà con “Naiv”, ha intrapreso un lavoro di introspezione che l’ha portato prima alla pubblicazione dell’ottimo “Vadak” e oggi a quella del nuovo “Alföld”, che ne rappresenta la diretta conseguenza. In sede di recensione, parlando di “Vadak”, avevamo sottolineato come questo lavoro fosse in effetti meno colorato e imprevedibile di “Naiv”, ma non per questo meno stratificato, grazie alla presenza di innumerevoli influenze che andavano dal jazz, all’elettronica, fino al folk. “Alföld” porta avanti questo percorso, andando ad asciugare ulteriormente la proposta dei Thy Catafalque, recuperando in maniera ancora più netta il metal estremo che in certi episodi erano quasi totalmente scomparsi. Così, di fronte ad un artista che ci ha stupito con le commistioni di genere più improbabili, ci troviamo oggi ad essere spiazzati in senso opposto da un brano di apertura dalle nette tinte death metal, “A Csend Hegyei”, così lineare, cupo e privo di fronzoli. Discorso molto simile si potrebbe fare per “Testen Túl”, che invece vira sul black metal, e dobbiamo aspettare di arrivare a metà della lunga title-track per ritrovare il Tamás Kátai che ama sperimentare: tornano le voci femminili, la musica si cheta e si apre una bellissima parentesi folk, guidata dalle chitarre acustiche. La strumentale “Folyondár” si concede di giocare con i flauti tipici dell’Europa orientale, mentre “Csillagot Görgető” recupera la dimensione più ieratica del black metal, con dei cori che non sfigurerebbero in un album dei Batushka.
Niente accostamenti astrusi, niente commistioni con generi lontanissimi dal metal, nessuna schizofrenia che rende i brani diversissimi tra loro: “Alföld” è un lavoro omogeneo, chiaro, oseremmo dire semplice, almeno stando agli standard dei Thy Catafalque. Se questo sia un bene o un male, all’interno del percorso artistico dei Thy Catafalque, dipenderà probabilmente dalle prossime mosse di Tamás: “Alföld” è un buon lavoro, senza dubbio, che abbiamo ascoltato con piacere, apprezzandone i numerosi punto di forza, ma non riusciamo a toglierci la sensazione che questo ritorno sia, in fondo, una battuta di arresto. Forse questa maggiore accessibilità, unita ad un sound più aggressivo e feroce, porterà nuovi ascoltatori ad avvicinarsi alla proposta dei Thy Catafalque, eppure restiamo convinti che la forza di questo artista risieda soprattutto nella sua capacità di rischiare, di osare soluzione inedite, anche a rischio di essere respingente o di perdere la bussola in qualche occasione. Sarà interessante, dunque, capire se questo ipotetico cerchio si chiuderà con “Alföld” e cosa ci riserverà il futuro dei Thy Catafalque. D’altra parte, se c’è un artista da cui aspettarsi l’inaspettato, quello è proprio Tamás Kátai.