8.0
- Band: THY DARKENED SHADE
- Durata: 01:01:35
- Disponibile dal: 10/01/2023
- Etichetta:
- World Terror Committee
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Volontà di mantenere ‘caldo’ il proprio nome fra gli appassionati, rispetto dei tempi discografici con album dati alle stampe ogni due/tre anni, inclinazione a seguire la via più facile e accomodante (sia da un punto di vista musicale, sia da quello del format scelto): non sono mai stati questi i presupposti della carriera dei Thy Darkened Shade, da oltre due decadi sinonimo di classe cristallina e profondità spirituale nel vasto mondo del black metal, oggi riaffacciatisi sul mercato con il secondo capitolo della trilogia avviata nel 2014 dal portentoso “Liber Lvcifer I: Khem Sedjet”.
Da allora, la band ateniese ha continuato a vivere nell’ombra, ignorando le richieste del pubblico underground di un seguito sulla lunga distanza e preferendo concentrarsi su una manciata di split selezionatissimi (ricordiamo ancora l’ambizioso progetto “SamaeLilith: A Conjunction of the Fireborn”), e mai come in questo caso ci sentiamo liberi di dire che l’attesa è valsa la ricompensa, che un certo tipo di arte non può seguire o assecondare tempistiche predefinite e che – soprattutto – è ormai impossibile non ascrivere i Nostri al gotha contemporaneo della Nera Fiamma, per un’opera che battezza il 2023 secondo una ritualità colta e un’ispirazione semplicemente eccellente.
Semjaza, fondatore e strumentista principale del gruppo, è ancora una volta l’artefice di un suono sfaccettato e dinamico, esoterico e progressivo, che nel corso di una tracklist più che corposa (nove brani per oltre sessanta minuti di musica) diventa simultaneamente preghiera diabolica e punto di congiunzione fra vecchia e nuova scuola black metal, tanto che l’utilizzo della classica espressione ‘senza tempo’, per descriverlo, non risulta affatto forzato. Ciò che emerge rispetto al passato, e che era già possibile intravedere nel contributo al suddetto “SamaeLilith…”, è il taglio ulteriormente tecnico, quasi funambolico nel suo collezionare cambi di tempo e di registro, del materiale incluso nella raccolta, la quale sembra porsi come vera e propria antitesi al modo superficiale e distratto di fruire musica oggigiorno. Un flusso che, rifinito dalla sontuosa produzione di V. Santura (Bølzer, Dark Fortress, Triptykon), si incanala e ha modo di espandersi in strutture maestose e ritmicamente intensissime, con l’ospite di lusso Hannes Grossman (ex Obscura) autore di una delle sue prove più feroci e tumultuose dietro i tamburi. Questa l’impalcatura intorno cui le chitarre e il basso si avviluppano producendo una serie di arabeschi contorti, evoluzioni ingegnose e traiettorie difficilmente prevedibili, non troppo distanti da certo avantgarde di fine anni Novanta/inizio anni Duemila (in alcuni momenti, sembra di ascoltare i Dødheimsgard epurati dalla loro follia digitale). Questo il bacino in cui il riffing, con altrettanta naturalezza, scivola dando vita a giochi armonici e melodici che rimarcano l’approccio magniloquente e ricercato alla scrittura, e che esplicano la funzione liturgica dei passaggi più solenni.
Menzione a parte, infine, per il comparto vocale, fra un apporto puntuale di cori e mantra e uno screaming perfettamente modulato sui registri e le atmosfere della musica, degno corollario di una proposta in cui l’insieme è maggiore della somma delle singole parti, e il cui significato recondito necessita di attenzione e introspezione per essere compreso appieno.
Va da sé che “Liber Lvcifer II: Mahapralaya” sia e rimanga un disco per pochi; un lavoro radicalmente elitario che non intende concedere nulla in termini di scorciatoie o semplificazioni, frutto di una realtà che, prendendosi i suoi tempi, raggiunge puntualmente livelli da fuoriclasse. Gli sforzi profusi nel tentativo di decifrarlo e carpirne l’essenza luciferina non saranno vani.