7.5
- Band: TODAY IS THE DAY
- Durata: 00:43:24
- Disponibile dal:
- Etichetta:
- Black Market Activities
Spotify:
Apple Music:
Dopo vent’anni di salassi avant-noise/grind, testardaggine al limite dell’ossessività e misantropia musicale scellerata, per Steve Austin e suoi Today Is The Day è arrivato l’inevitabile momento di tirare le somme e decidere sul da farsi. Continuare sulla stessa ermetica e alienante strada e lasciare che un underground che egli stesso ha contribuito a forgiare lo ingoi del tutto? Oppure rimescolare le carte in tavola per tentare un nuovo inizio e reinventarsi? Austin ha optato per la seconda scelta, si è guardato intorno e ha visto “Temple Of The Morning Star”, “In The Eyes Of God” e “Sadness Will Prevail” ormai irrimediabilmente irraggiungibili e irripetibili per lui, e gli ultimi due lavori, “Kiss The Pig” e “Axis Of Eden”, paurosamente vacillanti e sconclusionati. La strada che Austin ha spianato per se stesso negli ultimi due decenni ha pagato il conto della sua follia ed eccentricità musicale con la testa alta, ma negli ultimi anni ha anche cominciato a mostrare troppe crepe e a necessitare troppa “manutenzione”. Ed è cosi che il noise rocker di Nashville ha fatto l’impensabile e ha deciso di chiedere aiuto ad un vecchio amico, ovvero a Kurt Ballou dei Converge, per il quale Austin ha prodotto (deturpando tra l’atro con dei suoni scandalosi un album sublime che poteva essere un capolavoro anche nella forma oltre che nella sostanza) “When Forever Comes Crashing”, ormai dodici anni or sono. Ruoli invertiti, dunque: Austin per la prima volta nella storia dei Today Is The Day rinuncia alla cabina di regia e si fa incredibilmente da parte per permettere ad un altro essere umano di fare una cosa inaudita e mai vista fin’ora nella storia della band, ovvero mettere direttamente mano al sound dei suoi Today Is The Day, per dare una botta di vernice alla sua ormai vecchia e arcigna macchina di cacofonia noise. Non ce la sentiamo di dire che l’allievo ha superato il maestro, anche se Ballou come produttore ha raccolto – meritatamente – molto più di Austin negli ultimi sei-sette anni, ma ha senz’altro ricordato al suo mentore chi è e di quali risorse e potenza può disporre se messo nelle condizioni giuste. “Pain Is A Warning” quindi è un album completamente diverso dal resto della discografia dei Today Is the Day. Sparite le voci stridule sempre in overdrive, sparite le chitarrone ovattate, sparito il basso super polveroso e sparito tutto il resto del Today Is The Day Sound come lo conoscevamo fin’ora. A leggere queste righe i fan più invasati di Austin si faranno il sego della croce, ma non c’è n’è alcun bisogno. Kurt Ballou non ha trasformato i Today Is The Day nei nuovi Trap Them, e se c’è qualcuno, dopo Austin stesso ovviamente, che conosce la visione e la natura più viscerale dei Today Is The Day, quell’uomo è proprio Ballou. Ballou ha semplicemente eliminato tutti i fattori “zavorranti” del sound dei Today Is The Day. Ha messo la band a dieta e a regime, eliminando tutto il grasso residuale che Austin da solo ormai non notava neanche più, e ha “restaurato” la band scoprendo muscoli, nervi e tendini tesi allo spasimo che non si vedevano da dieci anni ormai. Ballou ha reso le voci di Austin più nitide e inferocite, le chitarre ora ululano come un branco di coyote arrabbiati, il basso pulsa come una frusta e l’intero lavoro in generale colpisce con nitida e cristallina ferocia e potenza. Grazie al lavoro di Ballou risaltano finalmente le tante influenze velate, percepibili ma mai esplicite, che il sound dei Today Is The Day nascondeva sotto produzioni sempre troppo ovattate e melmose. Il disco è un trionfo dell’hard rock più testosteronico e energizzato di ZZ Top, AC/DC, Lynyrd Skynyrd e altre istituzioni roots come Hank Williams e Johnny Cash, forzati in un tunnel di odio e distruzione noise-grind dilaniante e uscendo mostrificati e completamente avvelenati dall’estremità opposta. Grandiosa è infatti l’immagine di vero rocker che Austin veicola con questo nuovo lavoro anziché riproporsi ancora una volta semplicemente come criptica e insopportabile testa di cazzo psicotica. In “Pain Is A Warning” Austin non è più uno psicopatico alla guida di una band deviata in missione suicida, ma un rocker vero, incazzato come una vipera e armato fino ai denti, alla guida di una vera macchina da guerra rock and roll. Eliminata tutta la ciccia stagnante, il lardo putrefatto, la melma e le croste rinsecchite, i Today Is the Day di “Pain Is A Warning” brillano con una nuova luce. Non ci sono più filler, non c’è alcun riempitivo, non ci sono più le venti estenuanti tracce di una volta. “Pain Is A Warning” in nove compatte, cazzutissime e riuscitissime canzoni scatena un pandemonio noise-rock superbo, violentissimo e fottutamente anfetaminico. La opener “Expectations Exceed Reality” mette subito le cose in chiaro riportandoci direttamente ai tempi di “Blindspot” ma con una neo-ritrovata propulsione hardcore e potenza distruttiva. “Death Curse” sembra uno strano mix di Darkthrone e Unsane col suo monolitico muro di basse frequenze crivellato da blastbeat provenienti da ogni direzione. “Pain Is A Warning” è un boogie sudista satanico e assetato di sangue umano. I Nashville Pussy che hanno abbandonato le moto e le stronzate da redneck per dedicare la loro vita a Satana, alla violenza e al male più infimo. La successiva “Wheelin’” prende i Ministry di “The Mind Is A Terrible Thing To Taste” e li costringe in una disgustosa orgia con i Discharge. Una mazzata insopportabile, canzone rivoltante e distruttiva in tutto. “The Devil’s Blood” è poi il pezzo migliore del disco: sguinzaglia una cavalcata southern metal spaccafaccia in pieno stile primi Mastodon, condita da anthem e breakdown hardcore memorabili e con il solito malatissimo e vile rantolo allucinato di Austin a fare da contorno. La “ballata” “Remember To Forget” comincia come una b-side dei Sonic Youth e finisce come “Stones From The Sky” dei Neurosis lasciando il passo poi alla ancora più neurosisiana, oscura e martellante “Slave To Serenity”. Chiudono la superba ballad sudista “This is you”, in pieno stile 16 Horsepower, e la conclusiva e spietata “Samurai”, praticamente i Black Flag in overdose di satanismo, anfetamine e allucinogeni. “Pain Is A Warning “, insomma, non è solo il grandissimo ritorno di una band ormai praticamente leggendaria, ma un nuovo ed esaltante inizio per una band talmente influente che ha dovuto mettere mano al proprio sound per non diventare uguale ai suoi ormai innumerevoli imitatori. Senz’altro il miglior lavoro fatto da Austin dai tempi di “Sadness Will Prevail” e stavolta anche completamente sotto una nuova luce. Ben tornato, Reverendo.