8.5
- Band: TOOL
- Durata: 01:16:12
- Disponibile dal: 02/05/2006
- Etichetta:
- Sony
- Distributore: BMG
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La cosa più stupida da fare quando si ha un album dei Tool tra le mani è recensirlo dopo pochi ascolti. Bene, siccome noi adoriamo farci del male e siccome è sempre meglio, ogni tanto, avere l’anteprima su qualcosa, vediamo di darci da subito dentro con le prime considerazioni a pelle, analizzando, una per una, le principali tracce di questo attesissimo ritorno. Il primo battito cardiaco spetta all’ispido basso di Justin Chancellor, in uno dei suoi rinomati arpeggi riverberati dal suono inconfondibile quanto elastico, giusto per mettere l’ascoltatore subito a proprio agio. E’ così che si apre “Vicarious”, singolo che si gioca da subito tutte le qualità che hanno messo in luce un gruppo tanto criptico quanto emblematico come quello di Maynard e colleghi. Ritmiche dispari, arpeggi ottusi, controtempi, bassi sempre in primo piano e la voce del carismatico Keenan a disegnare melodie avvincenti. I Tool non sono di certo gli A Perfect Circle, quindi inutile aspettarsi ritornelli malinconici o brani anche solo vagamente radiofonici, c’è solo da prepararsi ad entrare in un mondo acido ed ostile, fatto di riff introspettivi che si espandono come piante rampicanti per l’impianto, e che si aggrovigliano sulle metronomate e mai esplosive ritmiche di Danny Carey, tecnico ed eclettico batterista della formazione. Di primo acchito non sembrano esserci nuove direzioni prese dalla band, i Tool sono sempre loro, in ogni singola sfumatura. La durata dei brani, anche in questo quarto capitolo, varia dagli striminziti tre minuti di “Lost Keys” (il tipico stacco strumentale acustico inserito in ogni loro lavoro) a lisergiche suite di undici minuti e oltre, come “10,000 Days”e “Rosetta Stoned”, affascinanti brani dalle strutture contorte e dalle sonorità psichedeliche che si gonfiano giro dopo giro. Certo, se bisogna fare un paragone con i loro precedenti lavori, questo “10,000 Days” sembra rispecchiare più “Lateralus” che “Aenima”, almeno per le atmosfere più avvolgenti, dilatate e meno dirette che lo compongono, soprattutto verso le ultime tracce. Detto questo, non rimane che affrontare più volte il lungo cammino (si parla di oltre un’ora di ascolto) di questo lavoro, fino ad assimilarne al meglio le atmosfere ed i passaggi. Per quanto riguarda il voto, almeno in casi come questi, risulta inutile dare un giudizio lucido ad un’opera tanto complessa e tanto fuori dagli schemi… l’unico elemento di cui dovrebbe essere ben fornito l’ascoltatore, di fronte a “10,000 Days”, è la propensione a comprendere nient’altro che la più pura e semplice Arte.