9.5
- Band: TOOL
- Durata: 01:17:23
- Disponibile dal: 17/09/1996
- Etichetta:
- Sony
- Distributore: BMG
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1996… Un anno strano, di subbuglio e incertezza per la musica heavy mondiale. Il grunge è ormai fenomeno consolidato e di largo consumo, il nu metal batte i pugni prepotentemente alle porte reclamando a gran voce un posto al sole, il thrash e l’heavy metal classico stanno forse vivendo il momento più buio e meno ispirato della loro storia, il prog e la psichedelia sono finiti in un cassetto, il cosidetto alternative metal, prepotentmente in mano a Jane’s Addiction, Primus, Faith No More e Nine Inch Nails, batte ancora cassa ma non riesce a capitalizzare fino in fondo sulla insoddisfazione dei metallari annoiati, delusi e bramosi di sonorità più heavy e oscure. Poi, il 17 settembre di quello stesso anno, esce un disco rivoluzionario e futuristico. Un lavoro tanto strano e contorto quanto affascinante e sontuoso, che ha dislocato il baricentro e l’equilibrio della musica heavy degli anni Novanta, rifilando un ceffone sonorissimo – un vero e proprio campanello d’allarme – a una intera scena musicale. “Ænima”, dei losangelini Tool, era ed è tuttora una vera rivoluzione. Un album spartiacque che ha segnato un’era, sia nel mainstream, sulle chart e sotto i riflettori di mezzo mondo, che nell’underground tra le band più oscure, misteriose ed emarginate. Dagli Isis ai violentissimi Cobalt, passando per i Meshuggah e i Mastodon, fino ad arrivare ai Deftones e alle superstar System Of A Down, sono innumerevoli e distribuite a tutti i livelli di popolarità e peso le band che considerano i Tool, e quello che sono riusciti a fare con “Ænima”, una influenza profondissima sulla loro musica e sulla loro visione musicale. Interessante questo punto, visto che a loro volta i Tool hanno costruito il proprio sound grazie a un’intraprendenza e un’apertura mentale musicale del tutto fuori dal comune, grazie a un mix audacissimo e inaudito di acutissima sensibilità ‘pop’, e una penetrante ed oscura propensione a voler esplorare lidi metallici alieni e profondamente cervellotici. Essi stessi, infatti, hanno forgiato il proprio immaginario musicale traendo ispirazione dagli humus musicali più improbabili e disparati: dall’energia mondiale e universalmente riverita di Black Sabbath, King Crimson, Pink Floyd, Rush e Van Der Graaf Generator, per arrivare poi fino alla strisciante, necrotica e borderline esistenza di band come i Melvins, i Killing Joke, i Devo, i Bauhaus e i Throbbing Gristle. Insomma, “Ænima” strabilia perchè mette daccordo tutti, sia coloro che amano la soave e confortante raffinatezza del mainstream rock, sia per chi ama l’oscurità, l’ignoto e le sonorità heavy assolutamente non convenzionali e incredibilmente complesse e contorte. “Ænima” sembra essere proprio così dunque, un album enciclopedico della stimolazione sensoriale musicale, un lavoro che stimola i sensi in maniera universale, a tutto tondo, senza lasciare neanche un angolo inesoplorato, e di fronte al quale ci si arrende e ci si lascia portare via privi di alcun appiglio o desiderio di opporre resistenza. “Ænima” tira fuori in noi ogni nostra sensibilità più recondita e inaspettata. Ci coccola e ammalia come la più bella, affascinante e accogliente delle Muse per poi farci quasi spezzare l’osso del colo a furia di scapocciare al ritmo dei suoi groove mostruosi, dei suoi vortici sonici inafferabili, e delle sue architetture metalliche colossali. Appena uscito, l’album debutta immediatamente al numero uno della classifica di Billboard, finisce poi per vendere oltre cinque milioni di copie in tutto il mondo e vincere un Grammy Award, rimanendo un enigma, un rompicapo inestricabile e un oggetto di culto dell’underground allo stesso tempo, fino a questo stesso giorno. “Ænima” è così, un capolavoro non solo nella sostanza ma anche nella forma, nell’acclamazione unanime da ogni fronte che ha ricevuto, e nei numeri – tutti quelli possibili e immaginabili – che il disco è riuscito a spostare. Con il passare del tempo ci si accorge inoltre che il terremoto, che questo album a tutti gli effetti è, non ha solo scoinvolto il presente, ma generato anche uno tsunami musicale a lunga gittata, destinato probabilmente a cambiare i connotati a quasi ogni livello della musica heavy per molti anni a seguire; e ad una analisi attenta, siccome la rivoluzione è ancora in atto, l’effettiva influenza che questo mostruoso album sta avendo non è ancora del tutto chiara. Trascinato dall’ugola non di questo mondo di Maynard James Keenan e dal drumming torrenziale e fantasmagorico di Danny Carey, questo mastodontico platter è completamente pervaso di cambi di tempo indecifrabili, di scalate ritmiche colossali, di vortici tribali magmatici, di fluidificazioni prog bombastiche e di immaginari esoterici, matematici e alchemici completamente intrisi di dark humor e messaggi subliminali dal significato indecifrabile. Con la sua fruibilissima e seducente complessità, ”Ænima” ha riscritto quasi tutti i libri del prog, del ‘concept rock’ e del metal ‘pensante’ a trecentosessanta gradi, sia per quanto riguarda la preziosità e la qualità dei suoni e degli arrangiamenti che vanta, che per la profondità intellettuale ed espressiva che veicola. Il sound della chitarra di Adam Jones rimane enigmatico e ambiguo fino ad oggi nel suo esistere attraverso un attacco sonico magniloquente, roccioso e maestoso, apparentemente privo però di una vera anima metallica convenzionale. La spirale sonica a quadruple eliche invertite che il chitarrista assembla nel finale di “Forty Six & Two”, per esempio, anche al milionesimo ascolto sbalordisce per la perfezione e potenza con cui si compie. Se il singolone “Stinkfist” dal canto suo assesta il colpo di grazia definitivo al grunge e all’alternative metal grazie al suo groove colossale ancora contenuto in una forma canzone fruibilissima, e a delle linee vocali sensualissime che insidiano il concetto stesso di perfezione, i successivi debordanti otto minuti e mezzo di “Eulogy” spalancano le porte ad un mondo musicale magniloquente, immaginifico ed esageratamente ambizioso in cui la composizione musicale raggiunge picchi di raffinatezza e attenzione al dettaglio che sono al limite del maniacale e del comprensibile. Il disco si dispiega così, per ben settantasette minuti, in un susseguirsi surreale e fottutamente trascinante di interludi sinistri e tragicomici, svettanti zampilli di magniloquenza prog e turbini metallici di rarissima bellezza e fattura. Impossibile menzionare un brano piuttosto che un altro, visto che sia le storpissime e soffocanti “Hooker With A Penis” e “H.”, che le incredibilmente monolitiche, sconfinate e suggestive “Pushit”, “Jimmy” e la titletrack sono ormai tutte dei classici intramontabili in cattedra da quindici anni. E proprio quando si pensa che le stranezze, le scellerate sontuosità compositive e i groove orgasmici siano arrivati a capienza, i Tool trasformano l’impossibile in miracolo e imbottiscono gli ultimi quindici minuti del disco con la odissea psichedelica di “Third Eye”, la cui portata immaginifica e potenza sonica inarrestabile difficilmente troverà mai rivali nel mondo dell’art-rock come lo conosciamo fino ad oggi. Lasciamo perdere per un momento i soliti discorsi sulla bravura tecnica e le capacità artistiche dei musicisti coinvolti e l’allineamento di pianeti che si compie quando questi sono anche incredibilmente ispirati, poichè con ”Ænima” questi concetti assumono solo un senso di ridondanza e inutile prolissità, in quanto vengono quasi ridicolizzati. Ci sono cose piuttosto che fanno parte del nostro immaginario, dei nostri valori, delle nostre aspirazioni o della nostra fantasia, che sono troppo belle e impossibili per succedere o esistere, e che di riflesso ci fanno dunque apprezzare di più le cose tangibili della vita che abbiamo realmente. Ecco, “Ænima” potrebbe essere visto come una di queste cose improbabili e inafferrabili, solo che incredibilmente è successo sul serio ed è fottutamente reale.