6.5
- Band: TOUCHÈ AMORÈ
- Durata: 00:31:55
- Disponibile dal: 11/10/2024
- Etichetta:
- Rise Records
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Dopo quattro anni dall’uscita di “Lament”, i Touché Amoré tornano sulla scena con “Spiral in a Straight Line”, un nuovo capitolo prodotto ancora una volta da Ross Robinson. La band californiana, ormai veterana del panorama post-hardcore, continua a navigare in una proposta in cui convergono spesso e volentieri sia il vecchio retaggio screamo che vaghe velleità pop, mantenendo il suo marchio di fabbrica fatto di canzoni brevi, immediate e al contempo cariche di emozione. Il disco si inserisce insomma in una continuità stilistica che il gruppo ha affinato nel corso degli anni, lasciando che la sua evoluzione avvenga senza strappi o cambi di rotta improvvisi. Del resto, la band ha ormai da parecchi anni trovato un suo suono, dove le chitarre alternano stilettate e uno spleen malinconico, sul quale il frontman Jeremy Bolm ricama le sue rime, con un’impronta ormai subito riconoscibile, quasi sempre a metà strada fra urlato e parlato.
I temi trattati nei testi rimangono personali e intimi, con Bolm che esplora, come di consueto, le sfumature più profonde della vulnerabilità umana, dai dolori della perdita alla ricerca di significato in un mondo in continua trasformazione. Nel suo reparto, il frontman è sempre intenso, ma la sua estensione vocale limitata e il suo approccio stilistico, ormai prevedibile, rischiano a volte di risultare ripetitivi, nonostante il puntuale desiderio di coinvolgere emotivamente l’ascoltatore. Qui il parallelo con un Mark Kozelek in chiave hardcore-punk emerge chiaramente: anche se ovviamente meno prolisso, Bolm ha ormai trovato un formato narrativo che tende a ripetersi senza mai deviare troppo.
Le collaborazioni presenti nel disco, come quelle con Julien Baker (Boygenius) e Lou Barlow (Dinosaur Jr., Sebadoh), aggiungono un tocco di novità, ma non riescono a scuotere significativamente la struttura complessiva dell’album. La voce di Baker, delicata e diversamente espressiva, offre un contrasto interessante al tono più graffiante di Bolm, tuttavia questi momenti sono fugaci, e il lavoro nel complesso resta ancorato a una certa prevedibilità.
Detto questo, brani più ispirati come “Hal Ashby” e “Force of Habit” spiccano per la loro capacità di condensare in pochi minuti una vasta gamma di emozioni. Sono tracce che rappresentano alla perfezione l’abilità della band di fondere ritmo e delicatezza, per dei momenti che si rivelano sicuramente degni di far parte delle setlist dei prossimi concerti.
Anche e soprattutto per brani come questi, “Spiral in a Straight Line” non può dunque essere considerato esattamente un album deludente, tuttavia qua e là pare mancare quella scintilla che aveva reso “Stage Four” un capitolo particolarmente pregiato nella carriera della band. Se con “Lament” i Nostri avevano poi saputo reinventarsi con Ross Robinson al timone, ma senza stravolgersi, qui sembrano invece essersi adagiati su un terreno sicuro, finendo in un limbo un filo opaco e interlocutorio, come se il concetto di ‘more of the same’ sia stato preso un pochino troppo alla lettera.