9.0
- Band: TRAGEDY
- Durata: 00:42:09
- Disponibile dal: 01/06/2002
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C’era una volta una crust band chiamata His Hero Is Gone. Eroi, guerrieri, ragazzi…combattenti di (e in) una terra-di-mezzo socialmente spietata, cresciuti nel profondo sud degli Stati Uniti e guidati, musicalmente e umanamente, da una cosa sola: rabbia ciechissima, onnipotente, inarrestabile. I ragazzini avviliti ed arrabbiati crescono, diventano uomini, ma intorno a loro la sofferenza rimane invariata, la bile si inacidisce ulteriormente e si raggruma in metastasi di insofferenza, rendendo il cuore livido e desolato; l’animo si incupisce, i pugni si stringono con ancor più forza, i denti stridono gli uni contro gli altri con ancor più intensità che mai… Gli animali finiscono ormai a mandrie nei laboratori, torturati, usati come cavie, sacrificati in onore del materialismo umano, per creare cosmetici e farmaci, simboli dell’opulenza, del materialismo e della superstizione umana. Animali vengono abbattuti in massa per creare un surplus inutile di calorie create per rimpinzare una società compulsiva e consumista, schiava della TV e incapace di non credere alla pubblicità e alla propaganda dei conglomerati dell’industria alimentare. Esseri viventi innocenti allevati in massa senza vedere mai la luce del sole e poi sacrificati, sempre in massa, per generare calorie inutili che verranno poi rimosse dalla liposuzione, creando una morte non solo atroce, ma anche beffarda, poiché del tutto insensata. Allo stesso tempo, uno stato militarizzato e poliziesco protegge il potere dei potenti bastonando la povera gente insofferente e desiderosa di risposte che non avrà mai, per mano di eserciti e corpi di polizia; e le tentacolari mani della religione organizzata mettono i loro cinici polpastrelli su tutti i gangli del potere possibili, per influenzare quanto più possibile la coscienza umana, impaurirla con lo spauracchio del demonio per tenere l’umanità fedele, placida, addomesticata e troppo spaventata per non vivere senza la protezione della Salvezza. Quando gli His Hero is Gone si trasferiscono da Memphis nel Tennessee a Portland nell’Oregon in cerca di nuovo inizio, un nuovo santuario per non arrendersi al calvario del profondo sud, i ragazzi hanno ormai le loro menti completamente imbevute e sature di tale orrore; il ribrezzo e la repulsione che covano per il mondo, per il profondo sud cristiano e razzista, sono ormai arrivati a livelli incurabili: urge una riparazione, una nuova valvola di sfogo. Il bassista Carl Auge non li segue, rimane a Memphis; la band comincia a cadere a pezzi. Li segue invece Billy Davis, bassista dei loro amici From Ashes Rise (i quali anche loro li seguiranno fino a Portland, di lì a poco), il quale si unisce a loro creando un sodalizio ex-novo. Una nuova fiamma si accende, un nuovo urlo di battaglia si sprigiona e nascono i Tragedy, un progetto che sin nel nome simboleggia anti-eroismo, lotta esterna totale, esistenza al di fuori di tutto e tutti, rinuncia totale al sistema nel nome del fallimento umano. Lavori saltuari, il non riconoscimento di alcuna patria, di alcun governo, di alcuno stato e di alcuna morale o regola. L’umanità come lupi, ognuno ammazza il prossimo per sopravvivere. Ognuno a sé e per sé. L’inferno urbano trasformato in una steppa di desolazione in cui vince il più forte. Il nuovo corso si traduce nel disco omonimo della band, nato senza label, senza alcun supporto esterno, senza web, senza alcun canale promozionale. Ma si sparge come fiamme in una savana brulla e rinsecchita, spazzata dal vento, forte di un talento, di una severità di intenti e di una visione irreprensibili. E’ il primo passo verso un capolavoro del punk americano che non troverà mai rivali. Se il nome della band (e del disco omonimo) sono il primo firmamento dell’accettazione della totale natura aberrante dell’uomo, il secondo capitolo mira a prendere provvedimenti severissimi a tale situazione, cova un odio smisurato; il desiderio di vendetta contro tutto ciò e tutti coloro che hanno reso l’umanità così insulsa, cinica e lurida, diventa un sentimento al limite del contenibile. In quest’ottica nasce “Vengeance”, sotto una lente riottosa e ferale che non riesce a trovare argini. Nasce da una rabbia incontenibile, che trova come unica moralità una lotta senza confine, fino all’ultima goccia di sangue e all’ultimo respiro rimasto nei polmoni. L’aria si riempie di fumo e polvere, le ciminiere crollano, i palazzi del potere vengono saccheggiati e dati alle fiamme, i caschi dei poliziotti schierati in assetto antisommossa vanno in frantumi, le barricate bruciano, l’asfalto si squaglia come neve al sole, l’anarchia e la rivincita della Natura nel caos e nella caduta dell’Uomo sembrano ormai l’unica conseguenza possibile di un’arroganza e un egoismo che, in ultima istanza, ha rappresentato la sua stessa fine. Quando tutto questo è chiuso in quaranta minuti di debordante e colossale furia hardcore corazzata da un muro inverecondo di chitarre sludge, da una sezione ritmica tellurica e implacabile che porta il d-beat dei Discharge e dei Doom alle proprie estreme conseguenze e ai limiti dell’anicchilimento totale, e da un duplice attacco vocale imbottito di anthem incendiari che chiama sangue a secchi, questo è quando si materializza il capolavoro ideato dai Tragedy, nato nel 2002 e precursore di una carriera che poi, dieci anni e passa più tardi, sarà ormai divenuta leggendaria grazie a questo album crust-core pazzesco, assoluto manifesto di uno stile di vita inattaccabile e una mentalità DIY mai vista prima e portata alle estreme conseguenze di emancipazione artistiche. Senza internet, senza label, senza fare interviste e senza comunicare con null’altro se non con i propri strumenti, i Tragedy sono ormai monumenti dell’undergorund punk e metal mondiale, e la spiegazione di un tale status leggendario costruito senza alcun aiuto esterno sta tutto racchiuso in queste tredici schegge di dolore dal peso specifico incalcolabile e dal valore ormai inestimabile. “It’s your choice, follow or lead!”.