6.5
- Band: TRANSGRESSOR
- Durata: 00:24:46
- Disponibile dal: 24/08/2023
- Etichetta:
- Me Saco Un Ojo Records
- Unholy Domain Records
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Una reunion e un conseguente ritorno discografico ormai non si negano a nessuno. In un periodo in cui l’underground death metal ci ha già presentato comeback inattesi, come quello dei redivivi Sorrow e dei Deteriorot, non stupisce quindi ritrovarsi fra le mani una nuova uscita marchiata Transgressor, pionieri del death metal nipponico, tornati in attività qualche anno fa per un’apparizione al Kill Town Death Fest di Copenhagen. Al di là di varie compilation, il gruppo di Takashi Tanaka – nel frattempo divenuto mente dei più validi e popolari Anatomia – era fermo al 1992, anno di pubblicazione del debut album “Ether for Scapegoat”, un’opera in verità piuttosto acerba, a tratti basata su un improbabile mix di death-doom ed estemporanee progressioni slayeriane. Il rilancio e la riscoperta di tutto ciò che è old school avvenuti negli ultimi anni hanno tuttavia portato qualche riflettore anche su un nome a dir poco di nicchia come i Transgressor, all’interno di un processo generale che spesso ha portato certe label o die-hard fan del genere a utilizzare il termine ‘culto’ con troppa facilità, nel tentativo di rivalutare e spingere ad ogni costo anche dischi o gruppi non esattamente talentuosi o ingiustamente incompresi. Nel caso della band giapponese, non si può dire che quanto proposto nei primi anni Novanta fosse penoso, ma le cosiddette perle nascoste, all’interno di un panorama estremamente vasto e in certi casi labirintico, sono oggettivamente altre.
Detto questo, va dato atto ai Transgressor di essere tornati con un lavoro che, almeno in parte, trasmette delle sensazioni positive su questa operazione, presentandoci un gruppo affiatato e che pare divertirsi in questo insperato rientro sulle scene.
Rispetto ai lontanissimi esordi, sembra che la scelta compositiva sia stata quella di ridurre i cambi di registro e di compattare il songwriting all’interno di un death metal più groovy e scorrevole, con un lavoro di chitarra che riesce a proporre anche degli spunti inaspettatamente orecchiabili. Mai troppo lento e, al contempo, mai serratissimo, una buona fetta del materiale di “Beyond Oblivion” si fa ricordare per una serie di riff accattivanti e un’impronta sferzante che riesce piano piano a conquistare l’ascoltatore.
I primi due episodi sono di gran lunga i migliori del lotto, quelli in cui – vedi anche la durata più estesa – il quartetto sembra essersi impegnato maggiormente: sghembi e ambiziosi, magari noncuranti della forma, ma pregni di sostanza. Il resto della breve tracklist sa invece un po’ di riempitivo, da B-side poco sfruttata, con brani più brevi e piatti.
Nel complesso, l’EP si lascia quindi ascoltare: nel 2023, il talento e la visione di Tanaka brillano davvero solo negli Anatomia, ma chi stravede per tutta la corrente death metal vecchio stampo, nella sua accezione più ignorante e quadrata, potrebbe trovare assai piacevoli canzoni come “Death Heaven” e “Stuck in Limbo”.