TRIAL – Feed The Fire

Pubblicato il 30/08/2022 da
voto
7.5
  • Band: TRIAL
  • Durata: 00:46:29
  • Disponibile dal: 02/09/2022
  • Etichetta:
  • Metal Blade Records

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È una metamorfosi corposa quella attuata dai Trial nel passaggio dal terzo album “Motherless” a quest’ultimo “Feed The Fire”. La principale ragion d’essere di questa svolta la dobbiamo al cambio di cantante, con l’abbandono di Linus Johansson e l’entrata in formazione di Arthur W. Andersson, presentato con il breve EP di cover “Sisters Of The Moon” nel 2021. Cambio avvenuto tutt’altro che in tempi brevi, tant’è che sono trascorsi ben cinque anni dal precedente disco a quello successivo. Un periodo durante il quale la band ha penato per trovare un sostituto all’altezza alla voce, arrivando infine all’ex Air Raid, avente caratteristiche vocali quasi antitetiche al predecessore. Se Johansson puntava su toni acuti, teatrali, un camaleontismo tendente all’oscurità e ad atmosfere torbide e infernali, le squillanti linee di Andersson interpretano l’heavy metal classico con piglio schietto, luminoso, portando fatalmente la musica in un’altra dimensione. Difatti, il chitarrista Alexander Ellström ha ammesso di aver messo in disparte il materiale già composto per il successore di “Motherless”, nel momento in cui si è accorto che con il nuovo cantante quel tipo di soluzioni mal si sarebbe adattato. Così ci è spinti in una direzione diversa, facendo quasi sembrare i Trial di oggi solo lontani parenti di quelli dei primi tre full-length.
Se con “Vessel” i punti di riferimento erano Mercyful Fate e In Solitude e in “Motherless” erano insistenti le intrusioni di sonorità care ai Fates Warning ottantiani e a tutto il prog/classic metal americano, “Feed The Fire” accarezza l’idea di suono della NWOBHM, del power europeo e incamera le nuove/vecchie incursioni nel classic metal della recente ondata di metallo nordico. Andiamo quindi a parare nel campo di Enforcer, Ambush, gli stessi Air Raid da cui Andersson proviene, compagini magari non propriamente originali, ma in grado di dare lustro al settore del classic metal con forsennata energia, entusiasmo e un songwriting il più delle volte apprezzabile. A dare una buona caratura all’incarnazione attuale dei Trial, peraltro rimasti immutati negli altri quattro/quinti di line-up, è un’inventiva che, anche adattandosi a un contesto differente dal passato, sa mantenere le necessarie distanze dai numi ispiratori. Sono in particolare gli Iron Maiden dell’era Di’Anno, peraltro già fortemente presenti in precedenza nella modellazione delle chitarre, a dare nerbo alla tracklist, che parte sparata sulle ali di tracce dirette e arrembanti, nelle quali far deflagrare chitarre gemelle e cavalcate impetuose, divise tra lampanti citazioni al metal ottantiano e la carica delle giovani leve di oggi. I primi brani in scaletta ci parlano il linguaggio dell’heavy metal primigenio, tutto velocità, melodie d’acciaio, ritmiche quadrate e perennemente terremotanti, voci squillanti a insistere su strofe incalzanti e refrain da cantare in coro, con poche preoccupazioni per allestire atmosfere ricercate e articolate strutture. A impreziosire “Sulphery”, “Thrice Great Path”, “Snare Of The Flower”, ci pensa un reparto solista prodigo di ricami gioiosi ed enfatici, qualcosa che ricorda la stagione d’oro del power metal di fine anni ’90, pur se contornato da una potenza di fuoco superiore. Su queste trame tambureggianti, Andersson è in effetti l’interprete ideale, un cantante vecchia maniera, uscito per qualche strano scherzo temporale da qualche anfratto della provincia inglese o tedesca di quarant’anni fa.
Andando avanti nell’ascolto, ecco che i Trial si espongono a correnti sonore più elaborate, rimettendo in primo piano l’epica e un raccontarsi più calmo, ponderato e velato di progressive. Un parziale cambio di registro inaugurato dalla titletrack, padroneggiata al meglio nelle sue piccole tortuosità dalle tonalità del cantante, a suo agio anche sulle note basse e nell’affrontare strofe rallentate e meno immediate. Sfornando anche qualche pennellata doom, si fa apprezzare “The Faustus Hood”, seguita da una “Quadrivium” che abbonda di tempi medi spezzettati e un’indole nervosa tipica del power/progressive statunitense. Gran finale con i nove minuti e oltre di “The Crystal Sea”, la band qui sale ulteriormente di colpi per una suite metallica scenografica, immaginifica senza dover ricorrere ad arrangiamenti fuori dagli schemi e senza derogare alla potenza esecutiva
La produzione relativamente leggera e ben poco compressa avvalora la sensazione di ascoltare qualcosa di nitidamente e veracemente old-school, senza che la patina di vintage diventi qualcosa di fastidioso. Nonostante i cambiamenti intercorsi e il dover in pratica reinventarsi per l’abbandono del proprio cantante, i Trial non si sono persi d’animo e hanno scritto un album heavy metal emozionante e sfaccettato, che rilegge i maestri del genere con slancio e creatività. Un bel ritorno sulle scene.

 

TRACKLIST

  1. Tria Prima
  2. Sulphery
  3. Thrice Great Path
  4. In The Highest
  5. Snare Of The Fowler
  6. Feed The Fire
  7. The Faustus Hood
  8. Quadrivium
  9. The Crystal Sea
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