7.5
- Band: TRIBULATION
- Durata: 00:22:05
- Disponibile dal: 07/04/2023
- Etichetta:
- Century Media Records
Se pensate che gli EP possano essere a malapena fuggevoli bocconi di nuova musica, state sicuri che i vampiri di Arvika riusciranno a smentirvi anche questa volta: “Hamartia” infatti – nonostante gli appena venti minuti di durata – è un tassello cruciale nel percorso tra tenebre, polvere e onirismo gotico dei Tribulation.
Prima di tutto, perché è il primo assaggio di come la formazione svedese si sia assestata dopo la dipartita di Jonathan Hultén a livello di scrittura e sonorità; secondo poi, e conseguentemente, perché mostra in quali territori si stia andando ad assestare la loro musica.
Se infatti con “Where The Gloom Becomes Sound” avevamo assistito ad una certa rarefazione esoterica dei suoni, scorgendo quasi a malapena i toni più estremi degli esordi in favore di un chiarore caliginoso più soffuso ed etereo, con talune suggestioni anni Settanta sempre più in primo piano, in questo breve, nuovo capitolo quelle radici death metal vecchio stile tornano (per nostra gioia) a comparire più vicine alla superficie, rafforzate da una rinnovata vena di heavy metal classico (soprattutto nel lavoro di chitarre, ben esemplificato dagli arabeschi ipnotici, quasi doomeggianti e ascendenti di “Hemoclysm”) ruvido e vagamente lercio quanto basta per amalgamarsi bene sia con gli esordi che con le virate, pure classicheggianti anche se volte su lidi più atmosferici, da “Down Below” in poi.
Il timoniere di lunga data, Adam Zaars, ha trovato nell’entrata del chitarrista Joseph Tholl (al posto di Hultén) un valido sodale: i due sembrano aver voluto dare sfogo ad una voglia, oscura e unghiuta, di riportare la propria nave in acque più miasmatiche, inspessendo la durezza delle note e correndo a briglia sciolta verso orizzonti carichi di un nuovo, sottile senso di buio, forse mai davvero scomparso dall’immaginario (anche a livello di testi) dei Nostri, ma qui di nuovo ben presente e ispirato in ogni settore: la traccia iniziale, eponima, ne è un valido biglietto da visita, con la batteria del non più neoarrivato Oscar Leander a dettare un bel piglio cadenzato insieme al basso del cantante Johannes Andersson, mentre i due chitarristi in questo pezzo e nella successiva “Axis Mundi” sintetizzano cosa sono stati e come sono diventati i Tribulation, in soluzioni tanto orecchiabili quanto cesellate con la raffinatezza che hanno variamente dimostrato di avere.
Quello che non cambia mai davvero è la voce di Andersson, trademark cavernoso e rauco oramai riconoscibile, qui maggiormente carica di sinistre sfumature proprio in virtù dei ritorni di fiamma sonori di cui dicevamo poco sopra, e azzardo definitivo (secondo noi riuscito) nella ‘coraggiosa’ cover che chiude l’EP: con “Vengeance (The Pact)” il gruppo svedese si misura con uno dei capolavori dei Blue Öyster Cult (e della musica rock in generale), “Fire Of Unknow Origin”, pagando pegno d’amore all’album con una rivisitazione più veloce, più pesante e vagamente slabbrata della canzone originale, riuscendo nell’intento di rendere il suo fascino ipnotico e psichedelico, rivestendolo però di una patina dura e mefitica senza snaturarlo.
Avendo apprezzato parecchio sia questo esperimento che il ‘vecchio-nuovo’ corso della band (in una sorta di ringkomposition catacombale), abbiamo alzato di mezzo punto il voto; ora aspettiamo un album vero e proprio per saggiare con più respiro le nuove trame del sudario intessuto dai nostri Nachzehrer preferiti.