7.0
- Band: TRIBULATION
- Durata: 00:40:29
- Disponibile dal: 01/11/2024
- Etichetta:
- Century Media Records
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Attendevamo al varco la formazione di Arvika dall’uscita del precedente “Where The Gloom Becomes Sound”, lascito malinconico e contemplativo dell’allora principale compositore della band, Jonathan Hultén, prima della sua fuoriuscita dal gruppo per intraprendere la propria carriera solista.
Un nuovo chitarrista, Joseph Tholl, un EP ‘di riscaldamento’ – “Hamartia”, in cui si è assistito ad un ritorno verso sonorità più scure e polverose, più tardi – ecco che i Tribulation tornano a infestarci le casse dello stereo con un nuovo lavoro sulla lunga distanza.
“Sub Rosa in Æternum” segna un ulteriore spostamento di direzione, e si sente fin dalle prime note di “The Unrelenting Choir”, che ci accoglie con una sorpresa: la voce pulita e baritonale di Johannes Andersson, scappata via dalla darkwave più classica dei The Sisters Of Mercy, o a quella, più moderna e goth, dei The 69 Eyes; il paragone con questi ultimi viene spontaneo in più punti, e non certo in senso negativo – i vampiri svedesi sono da sempre capaci di scrivere buona musica, che sia il death metal degli esordi, o le sue varie sfumature vecchia scuola (tra heavy d’annata e afflati di prog settantiano), e ci riescono anche stavolta.
Tutti i quaranta minuti dell’album sono in verità intrisi di una densa coltre di new wave, particolarmente evidente in episodi come il singolo “Saturn Coming Down” o “Poison Pages”, dove la vena sepolcrale e miasmatica, da sempre nelle corde dei Nostri, si tinge di decadente mestizia gotica, spleen ottantiano e melodie su melodie orrorifiche.
Se “Tainted Skies” o “Time & The Vivid One” risultano un bel compromesso tra questa nuova vena musicale e quanto ascoltabile in “Down Below” o “The Children Of The Night”, con le chitarre dalla sfumatura indiscutibilmente vintage ed epicheggiante, Andersson impegnato a scartavetrarsi la gola come al solito e una sezione ritmica urticante e sul pezzo, “Hungry Waters” guarda invece più verso gli orizzonti quasi progressive del precedente lavoro.
Ci sono – giusto per non farsi mancare niente – poi le lente “Drink The Love Of God” o “Reaping Song”, quest’ultima quasi un esperimento inedito per i Nostri tra il cantautorato di Nick Cave e soluzioni orecchiabili da ballatona.
Insomma, i Tribulation sembrano espandersi come un corpo ectoplasmatico in innumerevoli direzioni, dimostrando comunque di avere la stoffa necessaria a vestire panni diversi; il problema è che non scelgono, ancora una volta, quale di queste vesti tenersi addosso. Sicuramente gli innesti darkwave funzionano, come anche le melodie apertamente più orecchiabili, pur non brillando di originalità (così come funzionarono al tempo i ponti da lidi death metal old-school verso un certo heavy metal classico): essi sembrano voler segnare un passo diverso, anche a livello compositivo, di Adam Zaars e soci rispetto al full-length precedente, ma la sensazione di un certo smarrimento – dopo l’ennesimo cambio di scenario, e dopo sei album – o comunque di una incertezza generale comincia a prendere sempre più forma.
“Sub Rosa in Æternum” sarà comunque un disco che avrà più di un passaggio nelle casse di chi ha sempre apprezzato la band in ciascuna fase del proprio percorso e/o è un cultore di certe sonorità deliziosamente crepuscolari; se invece siete tra coloro che ancora rimpiangono i fasti di quel gioiellino che è “The Formulas Of Death”, magari non vi farà storcere il naso come altri capitoli, ma sicuramente ve ne dimenticherete in fretta.
Peccato, in finale: i Tribulation avevano – e forse hanno ancora – tutte le potenzialità per lasciare una propria, personalissima unghiata nel metal estremo.
Speriamo trovino la lucidità e la quadra giusta per farlo, definitivamente.