6.5
- Band: TRILLIUM
- Durata: 00:56:12
- Disponibile dal: 04/11/2011
- Etichetta:
- Frontiers
- Distributore: Frontiers
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“Alloy”, opera prima del ‘progetto’ Trillium, non ci stupisce per nulla. E perché dovrebbe? E’ esattamente come te lo immagineresti, quando leggi i credits, o le pubblicità che si accompagnano al prodotto: pubblicato e distribuito da una delle più grosse case discografiche; indicazione cubitale che il progetto ‘features’ Amanda Somerville, ovvero una delle cantanti più in voga al momento per progetti e collaborazioni; attorno a lei, impegnati con esecuzione strumentale e songwriting, una serie di vecchie volpi legate guardacaso proprio alla casa discografica in questione, ovvero l’arcinoto Sascha Paeth, accompagnato per l’occasione dai soliti fidati scudieri dal nome di Robert ‘Rizzo’ Hunecke e ‘Miro’ Rodemberg; e, come ciliegina sulla torta, abbiamo un featuring di Jorn Lande sulla canzone “Scream It”. Quindi, perché dovrebbe stupirci questo disco? E’ esattamente quello che ci saremmo aspettati, ovvero una vera bomba dal punto di vista prettamente musicale, con una cantante brava e versatile, una dozzina di pezzi eleganti, di classe e assolutamente ben composti sui quali stendere la propria ugola d’oro, e una produzione scintillante e magnificente quanto l’impianto strumentale. Esattamente quello che ci aspettavamo, esattamente quello che abbiamo con i progetti Allen-Lande o Somerville-Kiske. Progetti i cui nomi coinvolti, peraltro, sono sempre gli stessi: Sascha Paeth, Sander Gommans (After Forever), Magnus Karlsson (Last Tribe). Qualche differenza c’è, e qui non siamo in presenza di un prodotto di metal melodico come con il progetto Allen/Lande o di hard rock/AOR in stile Place Vendome, ma questa volta siamo in ambiti più crepuscolari e romantici, una specie di gothic con venature prog e una forte, forte, propensione alla melodia, cosa che forse ci stupisce di meno ancora. “Alloy”, come dicevamo, è un buon prodotto: dai pezzi più oscuri, dove la carica drammatica della Somerville ci guida in un mondo di luci soffuse e lunghe ombre come “Utter Discension” o “Justifiable Casualty”, fino alle eleganti ballad come “Slow It Down”, tutto è come in un museo o una mostra, messo in una teca, con la luce giusta, per mostrare tutte le sfaccettature proprie di un’opera d’arte. Ma, nonostante tutte queste qualità, nonostante l’intrinseca bellezza del disco, non riusciamo a farci stare simpatico questo progetto. Come le opere d’arte esposte in una mostra di pop art, questo disco risulta insopportabilmente plasticoso, troppo perfettino, il classico prodotto lucente e patinato che viene sfornato da una casa discografica grazie ad artisti simpatizzanti, e messo sul mercato in multiple copie solo perché loro possono permettersi di farlo. Questa volta, oltre al fornirci la solita stranota schiera di compositori e musicisti già citata, il progetto non è nemmeno firmato con i nomi (o il nome) dell’artista principale, in questo caso il monicker Trillium è molto più adatto a far sembrare che si tratti di una band vera e propria anche se, come è facile vedere, i musicisti sono appunto sempre quelli che vediamo in tutti questi progetti. Il nostro lavoro lo facciamo con obiettività, e non possiamo non consigliarvi un disco ben riuscito nei suoni e nelle atmosfere come “Alloy”, ma noi continuiamo ad preferire la potenza, e magari anche la possibile ingenuità, di un debutto di una inesperta band tricolore, piuttosto che questi dischi creati solo per la vendita.