8.0
- Band: TRIVIUM
- Durata: 00:53:27
- Disponibile dal: 08/10/2021
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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Il successo in giovane età dei Trivium si è sempre portato dietro facili critiche, che sono poi andate a scemare pian piano vista l’oggettiva abilità della formazione di Orlando. Smontate le etichette di ‘band metalcore’, cloni dei Metallica, burattini di Roadrunner, band dallo scarso impatto live e cantante incapace rimaneva un solo importante aspetto su cui lavorare. Nonostante i grandi miglioramenti i Trivium sono stati una band che ha sperimentato durante la propria crescita prendendo strade che non hanno regalato i risultati sperati (“Vengeance Falls” e “Silence In The Snow” su tutti), con il risultato di dare la percezione ad inizio carriera di mancanza di identità, in quella centrale di una mancata consistenza. Nel 2017 abbiamo assistito a una specie di cambio di mentalità da parte del gruppo, che ha smesso di divagare puntando sulle proprie caratteristiche individuali e sul proprio stile in “The Sin And The Sentence”, confermando poi la strada intrapresa col successivo “What The Dead Men Say”.
Sfruttando la pandemia al posto di subirla, ecco arrivare immediatamente “In The Court Of The Dragon”, terzo album in quattro anni registrato nell’autunno 2020 assiema a Josh Wilbur e, diciamolo subito, terzo centro consecutivo per il quartetto. Forse per il maggior focus disponibile e la timeline non particolarmente stressante (probabilmente frutto dell’acquisita mentalità di artista marziale di Matthew Kiichi Heafy), “The Court Of The Dragon” prosegue la strada dei dischi precedenti ma riesce allo stesso tempo a far meglio. I nove pezzi che compongono la raccolta hanno un taglio più epico e progressivo rispetto alla media del gruppo, mantenendo la scrittura efficace ed assimilabile anche nei passaggi più estremi e musicalmente intricati e brillando in maniera eloquente nei ritornelli, che mettono in luce la smagliante forma vocale di Heafy e l’ispirazione delle linee vocali. Forse il ritornello sempre e comunque melodico, strascico degli esordi metalcore della formazione, potrà infastidire qualche ascoltatore, ma c’è da dire che quando il gruppo decide di schiacciare il pedale le soluzioni del comparto musicale sono totalmente soddisfacenti: parliamo di ampie sezioni strumentali estreme, intricate e progressive, che pescano dalle architetture di “Shogun” (in prospettiva il miglior lavoro del gruppo per chi scrive) ma spingono in tutte le direzioni con rinnovata ispirazione, urgenza e maestria nello strumento – oltre al batterista Alex Bent anche il bassista Paolo Gregoletto si sente con finezze inedite. Per una volta il meglio non è stato riservato ai singoli apripista. Sebbene la titletrack, “Feast Of Fire” e “The Phalanx” settino decisamente il tono, abbiamo “The Sword Over Damocles”, “A Crisis of Revelation” e “From Dawn To Decadence” a far brillare ulteriormente lo stato di grazia della band, con “The Shadow Of The Abattior” come picco assoluto epico e melodico, dimostrazione definitiva delle capacità vocali raggiunte da Heafy. Basta chiacchere, i Trivium sono un gruppo in confidenza con la propria identità, di provata costanza e consistenza, slegati da sottogeneri precisi e codificati e per questo in grado di accontentare gran parte degli appassionati del nostro genere musicale.