6.0
- Band: TULUS
- Durata: 00:32:16
- Disponibile dal: 17/02/2023
- Etichetta:
- Soulseller Records
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I Tulus, ormai lo sappiamo, sono una black metal band norvegese della prima (anche se non primissima) ora. Cosa c’è di meglio allora di una buona dose di ‘true black metal’? Beh, senza nulla togliere ai Tulus e alla loro perseveranza dalla fondazione nel 1991 ad oggi (togliendo i sei anni di sospesa attività dal 2000 al 2006), dobbiamo ammettere che all’epoca in giro c’era di meglio da ascoltare.
I Tulus sono una di quelle (non poche) band che per un motivo o per l’altro non sono riuscite a cavalcare l’onda del successo del black metal dove, fino agli Anni 2000 ed oltre, bastava essere una band ‘eletta’ proveniente dalla Norvegia per essere considerata (da un pubblico un po’ ingenuo) ‘true black metal’ e pertanto degna di adorazione. Di fatto una proposta musicale onesta, ma non trascendentale ha fatto rimanere il progetto Tulus sempre un po’ nell’ombra tanto da spingere gli stessi componenti a formare un progetto parallelo, i Khold, che negli anni hanno avuto paradossalmente più fortuna dei primi. All’inizio, infatti, la nascita ed i primi album dei Khold hanno coinciso con il periodo di eclissi del gruppo principale; evidentemente, non una mera coincidenza. Le differenze stilistiche tra le due band ci sono sempre state, soprattutto all’inizio, sebbene non siano mai state abissali. Da quando però le due band coesistono e continuano a sfornare nuovi album, non sono passati inosservati i tanti, forse troppi, punti in comune tra le due formazioni. In questi anni la sensazione è che i secondi abbiano avuto sempre qualcosa in più e di ‘nuovo’ da dire, mentre i Tulus sembrano spesso aver avuto l’esitazione tra un ritorno deciso alle origini e la voglia di suonare attuali. Il nuovo album si lascia ascoltare e presenta anche tre/quattro brani interessanti, ma da una band con un’esperienza simile alle spalle ci si deve aspettare decisamente di più. L’opener e al contempo titletrack del settimo full-length album è senza dubbio il capitolo più aggressivo dell’intero lavoro. I Tulus suonano freddi, vagamente ossessivi, martellanti quanto serve, eppure sembrano ancora una volta così vicini agli stessi Khold; in più, in un paio di frangenti, il riffing e la cadenza del cantato sembrano una versione semplificata e minimale dei Satyricon di circa un ventennio fa. Questo minimalismo sonoro, con un riffing ridotto davvero all’osso, continua nei brani successivi, dove la formazione primigenia sembra una versione meno incisiva e fascinosa della propria ‘sorella minore’; il problema è che se anche i Tulus si dimostrassero migliori del loro alter ego, sarebbe ancora da capire l’utilità artistica di portare avanti due band così simili tra loro. C’è comunque anche del buono in questo “Fandens Kall” come ad esempio la produzione, il basso in primo piano ed un’atmosfera a tratti oppressiva. Le canzoni sono piuttosto corte, come del resto la durata complessiva dell’album, e a volte si ha la sensazione che il poco tempo non abbia dato alle canzoni stesse la possibilità di svilupparsi a tutto tondo. Quando i Tulus seguono i cliché c’è poco di interessante da sottolineare perchè tutto suona come già sentito, è però stimolante piuttosto la piccola vena sperimentale di questa release, che si evidenzia maggiormente in brani come “Isråk”, specialmente nella sua seconda parte lenta e ponderata, e “Samuelsbrenna” capace di rompere i soliti schemi classici dei tradizionalisti Tulus.
Niente di eccelso, ma finalmente troviamo delle idee buone tra tanta staticità artistica che in un paio di episodi scade in un black’n’roll assai poco trascinante. In definitiva questo è un album sorretto più dall’esperienza che dalla voglia di essere dei protagonisti allontanando lo spettro incombente dei Khold.