6.0
- Band: U.D.O.
- Durata: 00:51:10
- Disponibile dal: 17/05/2011
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
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Stiamo guardando un orologio girare. La lancetta dei minuti si avvicina al punto più alto del quadrante. Cinquantotto… Cinquantanove… Clock! La lancetta ha completato un altro giro! Qualcuno ha festeggiato o notato questo evento? No, probabilmente. La motivazione è ovvia, durante la giornata di ore ne passano così tante che ben in pochi hanno motivo di mettersi li a guardare l’orologio per vedere che la lancetta dei minuti faccia un altro giro. La cosa è in qualche modo inevitabile, ‘definita’ potremmo dire, e come tale ci limitiamo solo a prenderne atto. Lo stesso per il nuovo disco di Udo, il tredicesimo con il monicker U.D.O.. Per il metal, il buon nanetto tedesco con i capelli bianchi esiste, è un dato di fatto; e siccome esiste, continua a produrre dischi, il che è un altro dato di fatto. Quindi, come possiamo accogliere il nuovo “Rev-Raptor”? Probabilmente per molti la risposta ricalcherà quella della lancetta dell’orologio, ovvero queste persone si limiteranno a prenderne atto, segnandosi mentalmente che ora la discografia di Udo ha un titolo in più. I veri fan, come hanno fatto con tutti le altre uscite, lo compreranno e lo troveranno all’altezza degli altri lavori. Alla fine, forse, è un po’ triste che le cose stiano così, ma è proprio la proposta musicale di Udo, anzi, forse la sua stessa immagine, a portare a questo risultato. I suoi dischi sono sempre stati dei monoliti di heavy metal classico, con sempre le stesse influenze: richiami ai Judas in alcuni dei pezzi più veloci (“Dr. Death”), piccole incursioni nel metallo alla Metal Church (“Leatherhead”), e ovviamente tanta influenza Accept in tutti gli altri pezzi. E anche questa volta, le cose non sono cambiate. Anche se forse, almeno per chi scrive, questo disco sorpassa anche se di pochissimo gli ultimi lavori “Mastercutor” e “Dominator”. Lo stile è però sempre quello. E’ vero che è possibile notare un tentativo di svecchiamento del suono in se, inteso come una produzione che favorisce un suono leggermente più prodotto della chitarra, meno ‘analogico’ se vogliamo, specialmente sulle scelte delle saturazioni; ma di fatto questo lifting è solo superficiale. Anche se cromata, un’incudine sotto il sottile strato di cromatura resterà comunque fatta di rozzo ferro, ed il suo scopo sarà sempre quello di batterci il metallo sopra. In definitiva, il problema dei dischi targati U.D.O. è sempre il medesimo, le idee ci sono, la formula è approvata e largamente testata, ma l’alone di già sentito e l’apporto strumentale assolutamente mediocre dei musicisti di cui si circonda non permettono mai di trovare nel disco una vera killer song, o quel qualcosa che faccia dire: "Questa è la carta vincente dell’album". Impossibile però dargli un voto insufficiente: la musica c’è e sarebbe ipocrita dare un’insufficienza a qualcosa che ascoltiamo con grande e sincero piacere da almeno venti anni. Ma, come sempre, oltre la sufficienza non andiamo. Insomma, i fan dello stridulo vocalist se ne prenotino pure una copia, ma chi considera vecchio il metal classico non lo prenda, se non per il gusto di parlarne male.