8.0
- Band: UFOMAMMUT
- Durata: 00:45:34
- Disponibile dal: 22/09/2017
- Etichetta:
- Neurot Recordings
- Distributore: Goodfellas
Spotify:
Apple Music:
Giunti con i due capitoli di “Oro” a codificare appieno la loro tipologia di doom, imponendola come uno stile a sé stante, fieramente distaccato da band associabili al medesimo genere, gli Ufomammut non si sono fermati. In “Ecate” il trio tortonese ha subito ripreso slancio, affermando inequivocabilmente l’intenzione di non fermarsi, né di riproporre se stessi nei dischi successivi cambiando di poco l’ordine degli addendi. Così, senza uscire di un centimetro dalle sonorità stoner/doom/psichedeliche di competenza, scavando dentro le proprie anime alla ricerca di una conoscenza più grande preclusa ai comuni mortali, ecco che anche “8” si permette di guardare a una dimensione affine a quelle del passato, ma che sa presentare novità importanti. Ponendo il titolo dell’album – l’ottavo full-length, appunto, del gruppo italiano – in orizzontale, ammiriamo il simbolo dell’infinito, unico obiettivo plausibile a questo punto per un collettivo che sale, deciso ma sommessamente, nei piani nobili del metal estremo. Ci sono mondi di rumori magnifici accanto a noi, sembrano proferire gli Ufomammut nei loro abominevoli riff immaginifici, nei synth orientaleggianti e alieni, per mezzo della voce stregata di Urlo; pianeti che orbitano a un soffio dalle nostre orecchie, per calpestarne la superficie abbiamo solo bisogno di un tramite. Questa volta il discorso sembrerebbe anche più intelligibile del solito, offrendo la possibilità anche a chi li teme ed è inibito dal letale carico di pesantezza emanato dai piemontesi di entrare con loro in confidenza. La persistenza dei synth nello speziare le chitarre porta a un’assimilazione velocizzata di trame apocalittiche, fragorose cavalcate sospinte a un’orgia di psicosi stralunata da un drumming imbizzarrito, assestante doverosi colpi al basso ventre mentre gli altri strumenti inducono alla contemplazione, a connessioni mentali impensabili. Emergono alcune linee vocali piuttosto pulite, dove il fitto campionario di filtri ha il potere quasi di rasserenare il potenziale suggestivo sciamanico di una voce che per sua natura non si destreggia in un ‘vero’ cantato, si comporta spesso come un devastante disturbo esterno, un’intrusione metafisica, un’invasione per la quale non esistono difese. Le tracce rappresentano le cellule di un unico grande organismo, confluiscono l’una nell’altra senza soluzione di continuità, attorcigliandosi e arrivando vicine alla deflagrazione definitiva, placandosi in andamenti concentrici allucinati, svelandosi compiutamente in marce elefantiache verso una Mecca sonica fuori dal tempo e dallo spazio. Gli Ufomammut sono bravissimi nel dare uguale risalto a impeto e ragionamento; si percepisce un’architettura complessa, misteriosa, che si comprende appieno annegandosi in una marea di ascolti, ma ci si può anche fermare al semplice subire, serenamente, gli assalti squassanti di strumenti grossi, contundenti, settati in frequenze quasi disumane. I sintetizzatori e la voce bilanciano e allargano la percezione sensoriale di un apparato ritmico e chitarristico che non lesina nulla quanto a potenza e iraconda volontà distruttiva. Passando dal doom più crepitante a sprazzi di sludge vecchia maniera, filtrati dalla speciale interpretazione ermetica della band, si ha l’impressione che sensazioni sempre più alterate, stupefacenti ci assalgano e conducano alla mente segnali difficili da codificare. L’idea di condurci in una contorta narrazione, con un inizio, uno svolgimento e una fine ben precisi, si traduce in una prima parte lievemente più ordinata, di accumulo dell’energia e di bizzarrie psichedeliche in alcuni casi ricoperte di piacevole patina vintage. Compreso il mood generale, allora possono prendere piede cadenze vorticose, detonazioni stellari, urla spiritate, oppure stacchi brutali e istanti di inestricabile caos; anche quando “8” si è sedimentato, non tutto appare chiaro, rimane un residuo sospetto che ci sfugga qualcosa, nascosto lì da qualche parte, pronto a saltare fuori in un ascolto futuro. Il sovraccarico elettrico dell’incendiaria “Psyrcle” ci manda definitivamente in orbita, lontani da questa Terra, a liquefarci le orecchie e ammirare un’(ir)realtà di volumi insostenibili e magiche creature dall’apparire sgargiante. Unici.