7.0
- Band: UFOMAMMUT
- Durata: 00:38:17
- Disponibile dal: 06/05/2022
- Etichetta:
- Neurot Recordings
- Supernaturalcat
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È la Fenice l’immagine prescelta dal trio piemontese degli Ufomammut per segnare il proprio ritorno discografico. Raggiunto con successo e celebrato dovutamente il traguardo del ventennale, poco dopo la pubblicazione del succulento “8”, qualcosa si è incrinato nella macchina solitamente perfetta della band. L’amichevole separazione con lo storico batterista Vita ha aperto un periodo di incertezza e, complice la pandemia, una pausa di riflessione, oggi interrotta con il nono album. Dietro il drum-kit si è seduto il nuovo entrato Levre e, a rimarcare la discontinuità col passato, gli Ufomammut si ripresentano a noi con una musica molto diversa da quella di “8”, ma anche da “Ecate” e dai due capitoli di “Oro”. Gli Ufomammut del 2022 sembrano essere tornati indietro nel tempo, a un approccio più minimale, dove stoner e psichedelia si riappropriano di forme low-fi, togliendosi di dosso quelle costruzioni evolute palesate nelle opere recenti. Quell’idea di suono colossale, vertiginosa, evocante immagini fantasmagoriche, va ad affievolirsi, per andare verso il basso, a un’interpretazione degli incroci di doom e psichedelia più pacata, sottile e dai volumi decisamente più contenuti.
Se agli Ufomammut era facile oramai da diverso tempo accostare un suono ‘esagerato’, un uragano elettrico al quale bisognava essere adeguatamente attrezzati per reggerne l’onda d’urto, ecco che con “Fenice” l’esperienza è assai differente e ci si deve confrontare con un amalgama sonoro se non propriamente leggero, di certo non così irruento e iper-dettagliato come ci si aspetterebbe. Costituita come un’unica traccia divisa in sei sezioni – e se conoscete un poco il gruppo, sapete bene che è una forma di composizione famigliare per loro – “Fenice” non ha nel volume ridondante delle chitarre e nel feedback roboante le sue principali ragioni d’essere. Se avevamo notato di recente l’interesse nel portare synth e linee vocali in primo piano, dar loro risalto e porli a centro della narrazione, con quest’ultimo disco il sospetto si fa realtà manifesta.
Complici anche un drumming più ordinato e lineare, sono le voci pulite sussurrate di Urlo – che già nel suo progetto solista The Mon aveva palesato intenzioni simili – accanto a tappeti cerimoniali di sintetizzatori a condurci in un viaggio lisergico spesso di grande compostezza, ombroso e tendente al mistico. Il ribollire dei synth ripercorre conosciuti sentieri di derive cosmiche, in questo però non risultano inutilmente scenografici: stanno per molto tempo mansueti, dilatando tempi e spazi e spingendo la musica lontano dalle sue radici metal. Le parentesi stoner-sludge possiedono d’altro canto una scarna crudezza che non si sentiva dai primi dischi del terzetto, l’impronta potrebbe proprio rimandare agli inizi della formazione, a un’urgenza espressiva più istintiva e meno calcolata. L’alternanza di vuoti e pieni avviene con risolutezza e fluidità, in questo facendo percepire che vi sia un’ampia storia da raccontare all’interno di “Fenice”, una profondità e una ricercatezza che sono il tratto d’unione con quanto fatto in precedenza.
Nonostante i diversi punti a suo favore, questa versione degli Ufomammut, almeno a percezione di chi scrive, mette in evidenza un’ispirazione non così brillante come quella degli ultimi, fortunati, album. Il lato metal della questione soffre inevitabilmente del confronto con la ricchezza di soluzioni e l’impatto che avevamo imparato ad apprezzare, mentre l’ampliarsi di registri atmosferici non dispiace affatto, ma non conduce per ora a qualcosa di così magico e che faccia restare a bocca aperta. Forse, trattandosi di un nuovo inizio, serve ancora limare qualche dettaglio, per avere gli Ufomammut pienamente all’altezza della loro fama. Un buon rientro sulle scene, quindi, anche se nient’affatto facile da digerire ed assimilare per i fan di lunga data.