8.0
- Band: ULCERATE
- Durata: 00:57:46
- Disponibile dal: 14/06/2024
- Etichetta:
- Debemur Morti
Spotify:
Apple Music:
A quattro anni dal magnifico “Stare into Death and Be Still”, disco che agli albori del periodo pandemico aveva rappresentato un passo decisivo verso una concezione musicale inscindibile dall’aspetto armonico e melodico, gli Ulcerate si riaffacciano sulle scene con un nuovo monolite in grado di scardinare le certezze e portare il death metal verso una dimensione ‘altra’, esplosa a livello underground proprio grazie alla risonanza di opere come “Everything Is Fire” e “Vermis” – al punto da generare una sfilza infinita di imitatori e discepoli – e che solo questi ricognitori della psiche confermano di riuscire a scandagliare pienamente, tra vividezza di dettagli e pregnanza di significato.
A conti fatti, alla stregua di realtà fortemente caratteristiche come Deathspell Omega e Gorguts, il trio di Auckland non conosce altri termini di paragone al di fuori di sé stesso, tanta è l’unicità che ne permea i pensieri e i gesti, e questo “Cutting the Throat of God” si pone logicamente continuità con il discorso fatto fin qui e con il cammino intrapreso dal suddetto “Stare…”, configurandosi come l’episodio della carriera in cui melodia e controllo salgono definitivamente in cattedra all’interno della narrazione, il tutto sotto le volte di un’eleganza e di una personalità ormai affinatissime.
Edito ancora una volta dalla francese Debemur Morti e forte di una produzione mai così piena e curata, passata anche per le mani del noto Magnus Lindberg (Cult of Luna, Sweven, Verberis), l’album immortala Jamie Saint Merat e compagni in uno stato introspettivo che richiama quello di una meditazione scandita da una serie respiri lenti, profondi, regolari, e soltanto all’occorrenza spezzata da ansiti più serrati e affrettati; una trance in cui l’autodisciplina dei musicisti è pressoché assoluta, e nella quale ogni contrazione/distensione – da sempre il fulcro degli sviluppi compositivi dei neozelandesi – è dosata scrupolosamente all’interno di brani che si dipanano con la densità e la solennità di una colata lavica, secondo un’estetica e un criterio squisitamente apocalittici.
Un flusso che – per l’occasione – arriva persino a inglobare echi di black metal acido e destrutturato (forse non a caso, vista l’esperienza maturata dal batterista tra le fila degli autori del recente “The Apophatic Wilderness”), ma che in ultimo, grazie all’esperienza e all’approccio dei Nostri, continua a suonare sempre e inequivocabilmente Ulcerate, ribadendo con il passare dei minuti la coerenza di una visione artistica unica nel suo genere.
D’altronde, partendo dal lavoro dietro i tamburi di Merat, passando per il guitar work umbratile e maestoso di Michael Hoggard, la cui sensibilità nelle variazioni tonali e nell’utilizzo di melodie e dissonanze non sembra conoscere cali di intensità, facendosi anzi sempre più ambizioso e disinibito, la tracklist sprigiona il medesimo senso di indipendenza e superiorità dei capitoli precedenti, autoalimentandosi fin dalla mostruosa opener “To Flow Through Ashen Hearts” dell’energia delle proprie esplosioni e implosioni.
Una tracklist rigorosa e da assaporare necessariamente con calma, quindi, nella quale l’incremento del quoziente melodico non può essere frainteso per un livello di accessibilità maggiore, e che complici episodi del calibro di “The Dawn Is Hollow”, “Further Opening the Wounds”, “To See Death Just Once” e la title-track finisce agevolmente tra gli ascolti più viscerali e immaginifici di questa prima parte di 2024. Tanto per cambiare quando si parla di questa band, un ritorno che sa di trionfo.