8.5
- Band: ULCERATE
- Durata: 00:52:49
- Disponibile dal: 25/01/2011
- Etichetta:
- Willowtip Records
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Dopo un album eccellente come “Everything Is Fire” erano in molti ad aspettare al varco i neozelandesi Ulcerate. La saggezza popolare vuole che il terzo album sia la prova più difficile da superare per una band, il lavoro della verità, dove arrivano a far bene solamente in pochissimi. Ebbene, il terzetto di Auckland arriva a questo ambito traguardo e lo supera con una facilità sbalorditiva, regalandoci con il nuovo “The Destroyers Of All” un vero e proprio moloch sonoro quasi inattaccabile. I nostri non rinnegano la strada maestra, seguita sin dal primo album, ovvero un incrocio possente e muscolare tra il death metal più ferale ed un post core di difficile assimilazione e nero come la pece. Il nuovo album è il logico successore del suo predecessore, così come questi lo era stato di “Of Fracture And Failure”; le uniche differenze (comunque non sostanziali) stanno in una maggiore accentuazione della componente post core, ora predominante rispetto al resto. Il percorso stilistico compiuto porta quindi gli Ulcerate ad essere molto più pesanti oggi che non in passato, dato che le loro linee melodiche sono divenute decisamente più plumbee e di difficile assimilazione. La chitarra di Michael Hoggard disegna dissonanze agghiaccianti, andando a creare un mostruoso ibrido tra gli Isis e gli Immolation, mentre Paul Kelland dietro al microfono è autore di una prova di grande sostanza ed il suo growling si adatta perfettamente alle atmosfere apocalittiche dei vari brani. Discorso a parte merita Jamie Sant Merat alla batteria: la sua performance è qualcosa di veramente strabiliante e la sua bravura non è in discussione, ma su certi passaggi in mid tempo forse tende ad esagerare con i cambi di ritmo; in alcuni frangenti sarebbe stato meglio utilizzare passaggi meno contorti, in modo da enfatizzare ulteriormente il senso di straniamento generato dall’oscurità dei suoni. “Burning Skies”, “Dead Oceans” e “Cold Becoming” sono i tre brani che aprono l’album e tutti e tre colpiscono per la qualità del songwriting e per il perfetto amalgama tra death e core; “Beneath” invece è più lenta e melliflua, basata su di un riffing stordente, tanto semplice tecnicamente quanto difficile da assimilare. “The Hollow Idols” mutua dal recente passato una leggera vena darkeggiante che viene sovrapposta a delle ritmiche tritaossa che non concedono quasi mai respiro, mentre in “Omens” non si possono non ravvisare degli influssi dello sludge core più corrosivo e diretto, che rendono il brano incredibilmente pesante. La conclusione è affidata alla lunga title track, dove la destrutturazione del death e del post metal viene portata a termine con successo, permettendo così alla band di allargare ulteriormente i già dilatati confini della musica pesante. Perché in definitiva è proprio questo che hanno fatto gli Ulcerate con questo “The Destroyers Of All”: vanno oltre il precostituito, creano, sperimentano ed osano, forti di un’idea di base chiara e precisa che non viene mai meno. I ragazzi sono capaci di suscitare nell’ascoltatore sensazioni di angoscia, smarrimento, vertigine, proprio come gli immensi Gorguts, con i quali condividono moltissimo pur seguendo tracciati differenti. Detto come piccola, inutile annotazione finale che la registrazione delle parti di batteria poteva essere migliore, non ci resta che inchinarci agli Ulcerate ed alla loro schiacciante superiorità. Sicuramente oggi come oggi una delle due o tre migliori formazioni estreme del globo!