6.5
- Band: ULTIMA SENTENZA
- Durata: 00:34:23
- Disponibile dal: 05/07/2024
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Arrivano dall’Abruzzo, con un carico di thrash metal d’annata, dove la vecchia scuola segna il passo con Slayer, Exodus e Sepultura a ricoprire i bordi più spessi dell’intera proposta. Loro sono gli Ultima Sentenza, di stanza a Pescara, nati nel 2019 da un’idea del chitarrista Guido D’Agostino e del batterista Matteo Giancristofaro, entrambi già attivi nei Condanna sul finire degli anni ’90. Insieme a loro, Pietro Di Nardo, ex voce degli stessi Condanna e dei Necrowar e Gianluca Iannotti a ricoprire il ruolo di bassista.
L’idea è stata quella di rendere appunto omaggio a chi il thrash lo ha modellato sin dalle sue forme primordiali, ognuno ovviamente con le sue caratteristiche: più brutale quello dei Sepu, più arcigno quello degli Exodus, più maligno infine quello degli Slayer.
A loro modo quindi gli Ultima Sentenza, nel primo full-length ufficiale, il qui presente “Mondi Fatta di Carta”, hanno preso in prestito gli stilemi della vecchia guardia, abbinandola alla propria dose di esperienza, realizzando un disco, sul piano prettamente strumentale, di tutto rispetto. Le strigliate dell’opener “Sporca uniforme” mescolate ai riff taglienti della successiva “Lacrima”; i rocciosi midtempo di “Fumeroi” e “Chiusi Dentro” sono la dimostrazione di come il gruppo abruzzese conosca bene la materia, manifestando anche una buonissima preparazione dal punto di vista pratica.
Ciò che purtroppo va a stridere, svelandosi come nota dolente dell’album è l’impianto vocale: sappiamo bene come non sia facile trasportare il cantato italiano sui binari ritmici di certi generi ed in questo gli IN.SI.DIA furono – e rimangono tutt’ora – uno degli esempi meglio riusciti in questo senso. Da parte loro gli Ultima Sentenza, scagliando la propria denuncia personale nei confronti della società, raggiungono in parte l’obiettivo. Non è tanto la scelta di cantare in madrelingua, infatti, quanto il modo in cui viene fatto: l’ugola di Nardo rimane fin troppo statica, piatta in diversi punti, smorzando così l’impatto di quello che invece dovrebbe essere il tocco decisivo per ben calibrare l’invettiva di turno. Ed è proprio questa staticità a penalizzare la grande totalità dei pezzi: un peccato perchè, ripetiamo, la base per stendere un disco compatto e diretto era ben presente.
Gli Ultima Sentenza restano, a dispetto del nome, meritevoli di essere riascoltati in futuro, augurandosi un miglior approccio dietro al microfono.