7.0
- Band: ULVER
- Durata: 00:44:44
- Disponibile dal: 01/08/2013
- Etichetta:
- Jester Records
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Siamo all’ennesimo giro di boa per gli Ulver, all’ennesimo “effetto fionda” creativo, o slancio gravitazionale in direzioni sconosciute e del tutto nuove, che forse è ancora troppo presto per comprendere a pieno ma che con questo nuovo “Messe I.X-VI.X” si mostra con una evidenza inappuntabile. Dopo aver orbitato dai tempi di “Perdtition City” attorno al pianeta del dub, del trip-hop, dell’industrial e dell’electro rock più avanguardistico, facendo varie soste in ambiti folk, acustici e più chamber music-oriented, ecco che per i Nostri si apre una nuova fase, ancor più sperimentale, ancora più sfuggente e dai lineamenti stilistici ancora più sfocati e difficili da decifrare. “Messe I.X-VI.X” è un lavoro composto prevalentmente di due anime, nessuna delle quali sembra avere appigli evidenti con il passato dei Nostri. La prima semisfera stilistica che compone la nuova anima della band è quella del dark ambient, di un sound sculpting nero e dilatatissimo che ha pochissimo di “suonato” e che va fruito ad occhi chiusi, in cuffia e in totale solitudine, e che per sua intrinseca natura vive al di fuori di ogni nozione compositiva derivata dal rock e dintorni. Percussioni inesistenti, dunque, ampio spazio a tasitere, sample e synth, nessuna incisività data alla ritmica o al metro; tantissima data invece alla improvvisazione e alla eviscerazione di strutture stilistiche completamente free-form. Lustmord, Dead Can Dance, Branca, Brian Eno, Amber Asylum, Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, Bohren & Der Club of Gore, perfino Michael Nyman e Hans Zimmer sono tutti indicatori essenziali per capire il nuovo corso degli Ulver, un corso fatto di neo-electro minimalista e oscurissimo, electro-jazz liquefattissimo e soundscaping criptico e mortifero. Persino la gloriosa voce di Garm trova pochissimo spazio in questo nuovo corso, ed è infatti praticamente assente, eccezion fatta per dei sparuti momenti nella conclusiva “Mother of Mercy”. La seconda sfera che domina l’immaginario stilistico del nuovo corso è quello della musica neo-classica e dell’avanguardia di stampo accademico. E’ enorme infatti la predominanza di partiture orchestrali nel lavoro, tutte dominate a fasi alterne da intere sezioni di fiati o sezioni di archi. Il lavoro assume infatti spesso e volentieri i connotati di una vera e propria opera neoclassica lontanissima da qualunque analogia con il rock, il metal o comunque con qualunque altra nozione musicale che vive al di fuori di ambiti accademici o legati all’opera e alla composizione classica. Spulciando i credit del lavoro scopriamo però che l’opera è stata realizzata dagli Ulver a quattro mani con la Tromsø Chamber Orchestra di Oslo e questo dettaglio di certo non secondario aiuta a capire molte cose del lavoro, in primis che non è assolutamente appannaggio esclusivo delle capacità creative del quartetto, per quanto sempre allargato, ma che tante e ben altre personalità provenienti dal mondo musicale accademico hanno dato il loro contributo fondamentale al lavoro per farne scaturire una opera più grande e ambiziosa e che esula in maniera evidente dal solito e familiare ambito di azione dei Nostri – per quanto questo sia sempre stato imprevedibile e sperimanetale. Insomma, un lavoro vastissimo, criptico e impenetrabile, che ha veramente poco di familiare da offrire per rendere la fruizione comoda e fluida e molto su cui invece far riflettere. Potrebbe essere un episodio isolato o l’inizio di un nuovo corso che ha di fatto consacrato gli Ulver come compositori neoclassici. Staremo a vedere, per ora l’episodio è singolo ed è dunque troppo presto per tirare delle conclusioni.