9.5
- Band: ULVER
- Durata: 00:43:58
- Disponibile dal: 03/03/1997
- Etichetta:
- Century Media Records
Spotify:
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Se conoscete già il terzo album degli Ulver, “Nattens Madrigal – Aatte Hymne Til Ulven I Manden”, non vi sorprenderà sapere che la sua produzione è ancora oggetto di dibattito, a quasi un quarto di secolo dalla sua uscita. Se non conoscete il disco di cui stiamo parlando, è giunto per voi il momento di premere ‘play’ e lasciar scorrere almeno tutto il primo brano (anzi, il primo inno), “Wolf and Fear”, anche se probabilmente vi serviranno meno di sei minuti per capire dove stiamo andando a parare. Il lo-fi nel black metal non è niente di nuovo e quello in esame si colloca, tutto sommato, su una linea molto prossima a quella tracciata da lavori come il quasi coevo “Transilvanian Hunger” dei Darkthrone. Eppure, nel caso di “Nattens Madrigal”, la crudezza del suono lascia al primo impatto un senso di profanazione, o comunque di una scelta operata con sincera malevolenza. Crediamo che l’annosa diatriba tra chi osanna la brutalità sonora di quest’album come la quintessenza del genere e chi la ritiene un inutile snobismo trve kvlt possa fare a meno del nostro contributo. Piuttosto, ci sembra più interessante chiederci se tutte queste polemiche non rivelino quanto il contrasto tra la maestosità dei brani contenuti “Nattens Madrigal” e quel suono scheletrico, quasi fosse stato scarnificato dai lupi al centro del concept, non costituisca un elemento centrale del suo mistero e del suo fascino. Ma andiamo con ordine.
Dopo la favola cupa di “Bergtatt” e la nostalgia folk di “Kveldssanger”, gli Ulver lasciano la Head Not Found per approdare ad un ramo estremo (e oggi estinto) di Century Media. La leggenda narra di favolose somme di denaro elargite dalla major ai giovani talenti del black, che avrebbero sperperato tutto in completi griffati e una Corvette nera per poi presentare ai loro pigmalioni d’oltreoceano un disco nichilista e provocatoriamente indigesto, registrato in mezzo al nulla con tecnologie antidiluviane. La realtà mostra piuttosto un prodotto curatissimo, pensato per stupire un ascoltatore le cui aspettative, verosimilmente, erano già piuttosto alte. La non-produzione di cui sopra, in questo senso, è solo la sorpresa più immediata.
L’altro elemento-sorpresa, per chi ascoltava quest’album per la prima volta nel 1997, dev’essere stata la violenza. Come lo stesso Kristoffer Rygg ha dichiarato in una vecchia intervista, è come se i due album successivi a “Bergtatt” ne sviluppassero, separandole, le due principali componenti: quella folk e acustica in “Kveldssanger” e quella black in “Nattens Madrigal”, che è in effetti l’opera più canonicamente black metal della discografia degli Ulver. Se “Bergtatt” è un’inquieta fuga tra i boschi e “Kveldssanger” un crepuscolo trascorso accanto al fuoco, “Nattens Madrigal” è una corsa a perdifiato nella notte, che concede brevi pause solo in un intermezzo acustico quasi all’inizio del disco e in fugaci inserti ambientali a un passo dalla fine. Fin dalle prime note della già menzionata “Hymne I: Wolf And Fear”, si viene lanciati a rotta di collo lungo un sentiero in discesa, in una selva di abeti luccicanti, rigogliosi e lugubri insieme. Il paesaggio scorre sulle corde della chitarra di Håvard Jørgensen, fluisce quasi, fino a che il passo trova la sicurezza di un ritmo costante: non stiamo più correndo, stiamo galoppando su quattro zampe. Sentiamo il vento fenderci la schiena, l’aria gelida entrare in bocca e aggrapparsi ai denti e gli odori, gli odori sono di colpo più intensi dei colori. C’è odore di sangue, di carne, di terra, di foglie morte, di muschio e di inverno incombente. Non siamo esseri umani, non più. Siamo lupi. Il madrigale della notte che dà il titolo all’album è il canto degli ululati che si levano nel plenilunio, magistralmente suggeriti verso la chiusura dell’album con la sontuosa “Hymne VIII: Wolf And The Night”. C’è una grazia regale, in quel canto, una noblesse arcana e ineffabile, ma c’è anche la ferocia primordiale della vita selvaggia, della lotta per una sopravvivenza che contempla la sopraffazione come una necessità.
Questo ci porta alla terza sorpresa che questo album riserva all’ascoltatore, quella che richiede più tempo per essere assaporata, ma senza la quale non si può apprezzare appieno “Nattens Madrigal”: i testi, composti in un danese arcaico e resi più accessibili in una traduzione inglese altrettanto anticheggiante. Qualcuno ha scritto che “Nattens Madrigal” è un album sulla licantropia, ma è un’approssimazione per difetto. In questo lavoro, il lupo (significativamente, ‘Ulver’ significa proprio ‘lupi’) è una metafora del lato più istintivo e oscuro dell’essere umano, indagato senza moralismi seguendo un percorso insieme musicale e lirico. L’album sembra addentarsi, brano dopo brano, in un viaggio iniziatico che dall’umano conduce al ferino, attraverso una serie di tappe che indagano gli impulsi fondamentali del nostro inconscio. Si inizia con la paura; si prosegue con l’odio nella cupissima “Hymne III: Wolf And Hatred”, che sembra urlata in una tempesta di neve. Giusto a metà percorso, in “IV: Wolf And Man”, si celebrano le tenebre temute, eppure ineluttabili dell’interiorità dell’uomo. Il viaggio nell’Es prosegue lungo la maestosa melodia portante di “VI: Wolf And Passion”, quasi commovente nonostante racconti una storia di desiderio e violenza – il cui tragico epilogo si consuma, forse, nella successiva “VII: Wolf And Destiny”. Diavolo, Luna e Destino: le tre figure associate agli inni che si alterano a quelli dedicati alle pulsioni nascondono riferimenti stratificati all’irrazionale e al mistero, arricchendo di suggestioni il susseguirsi riff al tempo stesso diretti e ricercati, brutali e melodici, sferzati dallo screaming di una voce ferale e sostenuti da una sezione ritmica che, al netto dei blastbeat, incede per lo più su ritmi marziali. Nell’ultimo inno, dedicato alla notte, una marcia funebre martellata su un pianoforte sancisce l’abbandono della pelle umana e la trasfigurazione nella sanguinaria purezza della dimensione animale: “and his yearning/ towards a winter’s night/ wandering alone/ the wolf”.