8.0
- Band: UNBIRTH
- Durata: 00:37:11
- Disponibile dal: 17/05/2025
- Etichetta:
- New Standard Elite
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Pochi dischi, lunghi silenzi, ma una cura e una passione ineccepibili nel rinverdire i fasti di un certo tipo di suono death metal.
L’iter degli Unbirth è sempre stato questo, e non stupisce che il nuovo “Asomatous Bersmirchment” si ponga in assoluta continuità con questo processo di studio e affinamento della materia trattata, presentandoci il gruppo modenese in una veste ancora più lucida, metodica e spietata di quella conosciuta grazie all’esordio “Deracinated Celestial Oligarchy” (2013) e al successivo “Fleshforged Columns of Deceit” (2018).
Pubblicato senza particolari squilli di tromba dalla statunitense New Standard Elite, etichetta che nel tempo ha saputo colmare il vuoto lasciato dalla Unique Leader in materia di death metal tecnico e brutale, l’album si presenta come un autentico tripudio di soluzioni riconducibili al modo di interpretare il genere nei primi anni Duemila, quando l’etichetta del compianto Erik Lindmark, estraendo dal sottobosco realtà come Beheaded, Decrepit Birth o Spawn of Possession, seppe portare la lezione del decennio precedente su livelli di frenesia e intensità ancora maggiori.
In risposta a quello che è evidentemente un bisogno espressivo autentico da parte dei Nostri, slegato da logiche di mercato o dal desiderio di seguire il trend del momento, la raccolta si ricollega quindi a quel periodo storico con un’energia e una meticolosità impressionanti, dispensando sia la solita complessità strutturale (e non potrebbe essere altrimenti), sia una scrittura dal taglio più funzionale e snello rispetto al passato, la cui indole finisce per ricordare quella palesata dai colleghi Septycal Gorge su un’opera come “Scourge of the Formless Breed”.
Brani che trasmettono un senso di movimento costante, come se fossero adagiati su una placca tettonica in procinto di disgregarsi, ma che nonostante l’atmosfera oppressiva e la mole di riff e cambi di tempo al loro interno riescono comunque a suonare fluidi e – in una certa misura – orecchiabili, snodandosi febbrili attraverso un dedalo di soluzioni dall’alto coefficiente di presa, ingegno e annientamento.
Un’onda di energia che si propaga dal profondo, e che viene alla luce ribadendo come gli Unbirth, raggiunto il traguardo del terzo full-length, padroneggino ormai il cosiddetto filone ‘brutal’ con un’autorevolezza superiore alla media, in un incedere che – al netto dell’uniformità generale – fonde perizia chirurgica, groove debordante e aggressività viscerale con risultati che sanno di vero dominio compositivo.
Anche la produzione, potente, moderna ma lungi dal presentarsi come asettica, restituisce l’immagine di una band matura e che non intende lasciare la resa dei propri sforzi al caso, e il cui talento, nel 2025, è tutto racchiuso in episodi apocalittici come “Unresilient Congeries of Affliction”, “Malignant Pregnancies” o “Solemn Amphibology”.
Per gli amanti del genere, uno dei sicuri highlight dell’anno, in attesa ovviamente del ritorno dei Putridity.