6.5
- Band: UNEARTH
- Durata: 00:37:55
- Disponibile dal: 23/11/2018
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Nuovo inizio per gli Unearth. Comprensibile dopo vent’anni di carriera alle spalle e sei dischi dalle fortune alterne. Il gruppo statunitense riparte da un contratto worldwide con la Century Media Records, da una collaborazione con il produttore Will Putney (Thy Art Is Murder, Every Time I Die) e da un assalto metal-core quadratissimo, che lascia da parte le finezze e i tecnicismi del soprendente “Watchers Of Rule”. Largo alla possenza, ad una gravosità tanto concreta e onnipresente che si taglia col coltello, ad una smodata passione per il rallentamento/breakdown che diventa riverenza da figlio prodigo. Pare che il disco sia stato in parte composto da Daniel “DL” Laskiewicz, già chitarrista dei The Acacia Strain, e non stupisce quindi che i tempi medi e un lavoro di chitarra monolitico e stentoreo prendano spesso il sopravvento: anche quando l’incedere si fa più agile e la coppia di chitarristi McGrath/Susi inizia a snocciolare i tipici spunti classic metal, il tutto non dura mai più di tanto: ogni accelerazione o sezione più melodica sembra puntualmente fatta apposta per traghettare i fasti dei guitar-hero in un calderone di ignoranza e sana cafonaggine da pit. Le mitragliate di doppia-cassa e riff stoppati sono così frequenti da riportare anche al debut “The Stings of Conscience”, mentre all’altezza di “Hard Line Downfall”, dopo un attacco che potrebbe uscire da un vecchio disco degli Slipknot, si entra persino in territori death-core, con le chitarre usate come percussioni e Trevor Phipps a scandire le parole con un growl gutturale. Insomma, a dispetto di una produzione pulitissima, niente fronzoli, poche sottigliezze. In particolare, pochi di quei continui cambi di tempo che avevano arricchito l’album precedente e poche concessioni alla malinconia, se non per alcuni arpeggi o per il finale di “One With The Sun”, baciato da un bel coro. A conti fatti, pur consegnandoci qualche episodio indubbiamente efficace, “Extinction(s)” si presenta come un lavoro tutto sommato derivativo per gli standard degli Unearth, dove il gruppo tende per giunta a mettere in disparte il suo sempre apprezzabile lato elegante e virtuoso a favore di un’andatura perennemente cadenzata, roboante e percussiva, che alla lunga uniforma troppo la tracklist. L’ascolto procede, ma, al di là del collaudato interplay fra sezione ritmica e chitarre nei breakdown, il disco non offre granchè di davvero esemplare.