7.5
- Band: UNFATHOMABLE RUINATION
- Durata: 00:38:32
- Disponibile dal: 28/09/2012
- Etichetta:
- Sevared Records
Spotify:
Apple Music:
E’ subito chiaro che questi giovanotti londinesi, ossequiosi di cosa ha significato e ancora significa suonare del death metal brutale, esordiscono senza lasciare spazio a quelle “allegre” divagazioni che – per moda o per necessità – finiscono sempre per essere declinate con il suffisso “-core”, magari allungate con un uso estetico (autoreferenziale, al massimo) della tecnica strumentistica. In effetti anche gli Unfathomable Ruination sono tecnici, molto, ma sfruttano questa caratteristica non tanto per farsi i complimenti a vicenda, quanto per assalirci frontalmente e pestarci come sacchi da pugilato: i pezzi hanno tutti delle strutture complesse, per gestire la quantità di riff (l’elemento compositivo in cui la personalità del gruppo risalta meglio), e insistenti, per il loro incessante intento aggressivo; una valida esemplificazione di tutto ciò è rappresentata da brani come “Edges Of Disfigured Atrocity” o “Pantheonic Synchroscheme”. I concetti ritmici, pur vari, convergono verso un aspetto prevalente, quello dei tempi veloci, che – raramente ma con efficacia – si diradano in favore di approcci più quadrati e scanditi che non serviranno a darvi respiro, ma solo a schiacciarvi la testa con ancora più forza: “Consequential Failure” e “Futile Colossus Decapitated” mostrano le parti che meglio si prestano a questa descrizione. L’immagine globalmente più adatta a descrivere il sound di quest’album è la seguente: un’ondata di bisonti in carica. Non diciamo mandria perché essa risulta composta da singoli elementi distinti, cioè i bisonti presi uno per uno, mentre un’ondata ne è una distribuzione continua: “Misshapen Congenital Entropy” è sostanzialmente un impasto omogeneo di “cornate”, “scalciamenti” e irrequietezza da “vedo rosso” che vi può solo travolgere; saranno poi gli amanti dell’estremo a citare Leopardi in termini di “dolci naufragi”. Chiamateci pure “conservatori”, ma preferiamo l’idea che il death metal faccia male, uccida, massacri e spaventi, piuttosto che rappresentare un mero esercizio tecnico, per quanto perfetto, incapace di evocare orrore. Le ingenuità di questo album sono situate al livello di produzione e mixaggio: non è tanto il suono di per sé ad essere difettoso (anzi, è proprio buono!) quanto l’uso approssimativo dei fade-in e dei fade-out: talvolta sembra quasi di stare ascoltando canzoni “mozzate” per uso promozionale. Al di là di questo, possiamo decisamente consigliarvi questo album, specie se siete alla ricerca di “legnate” date con cognizione di causa.
PS: tra i brani dell’album trovate anche una discreta cover dei Death e uno strumentale, “Anti-Genesis”, a suo modo visionario.