9.0
- Band: UNLEASHED
- Durata: 00:40:01
- Disponibile dal: 01/05/1992
- Etichetta:
- Century Media Records
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Parlare degli Unleashed significa necessariamente confrontarsi con il lato più lineare e ‘operaio’ della scena death metal esplosa in Svezia tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Un gruppo che, a livello di mire artistiche, non ha mai espresso il desiderio di rivedere i propri confini musicali alla maniera degli Entombed, precursori della corrente e – in un secondo momento – del fenomeno death’n’roll, né tanto meno quello di lambire la ferocia composita di Carnage/Dismember o la pesantezza macabra dei Grave; le derive progressive e raffinatissime degli Edge of Sanity, invece, non crediamo sia proprio il caso di citarle, in questa sede. A conti fatti, fin dal mitologico demotape “The Utter Dark” (1990), l’obiettivo principale del drakkar capitanato dal cantante/bassista Johnny Hedlund è sempre stato quello di solcare le acque del metallo della morte scandinavo nella maniera più elementare e diretta possibile, muovendosi dai capisaldi thrash e classic metal della propria infanzia e trattandoli come stampi per la forgiatura di un armamentario pensato per resistere agli urti di mille battaglie, in un’affermazione identitaria tanto forte quanto lontana dai trademark di buona parte del filone.
Una leggenda passata attraverso scelte coraggiose (quella di non avvalersi del classico suono del pedale HM2 o di snobbare i Sunlight Studio, casa dei vari “Left Hand Path”, “Like an Everflowing Stream” e “Into the Grave”), a fasi di ristagno della carriera non certo ammirevoli (i tempi bui di “Warrior” ed “Hell’s Unleashed”) e a rinascite inaspettate una volta entrati nel pieno del nuovo millennio, la cui influenza portentosa sul genere la si deve comunque a quanto racchiuso nei solchi del debut album “Where No Life Dwelles” (già trattato in un vecchio speciale di Metalitalia.com) e del successivo “Shadows in the Deep”, per molti il vero apice della band originaria di Kungsängen, poco fuori Stoccolma. Un disco che, a tutti gli effetti, suona come un seguito più maturo e tirato a lucido della suddetta opera del ’91, ripresentandone i contenuti alla luce di un’autoconsapevolezza maggiore (figlia delle date live macinate nel frattempo, fra cui è impossibile non menzionare quelle del Crush Jesus Christ Tour in compagnia di Morbid Angel e Sadus) e di un songwriting giocoforza affinatosi rispetto a dodici mesi prima, limato sagacemente – senza però inficiare sui livelli di aggressività – per esaltare l’incedere roccioso dei brani.
Un assalto all’arma bianca, ovviamente a base di scuri e martelli vichinghi, registrato ancora una volta presso i Woodshed Studios di Dortmund, in Germania, e forte di un’atmosfera tenebrosa che già a partire dal successivo, comunque ottimo “Across the Open Sea” inizierà a dissiparsi senza mai più essere riproposta con tale convinzione. Lo scontro ha inizio con “The Final Silence” – insieme a “Never Ending Hate” l’episodio più tirato e feroce della raccolta – e da lì entra nel vivo dispensando un riff irripetibile dietro l’altro, nella cui barbara semplicità risiede la vera forza del lavoro di scrittura e arrangiamento del quartetto. Una proposta che, come detto, bada al sodo, si affida dall’inizio alla fine a strutture chiare, con strofe e ritornelli immediatamente riconoscibili, e che non a caso rivendica le proprie origini tradizionali con una cover di “Countess Bathory” dei Venom a metà tracklist, cristallizzandosi in una quarantina di minuti di musica a dir poco minacciosi e tonanti.
Senza ripensamenti, possiamo quindi definire “Shadows…” una delle massime espressioni di schiettezza e istintività per quanto concerne il movimento swedish death metal (e non solo); un capolavoro in cui ogni pezzo finisce per risultare un amalgama encomiabile di impatto e orecchiabilità, sul filo di un entusiasmo giovanile che, ascoltando e riascoltando fino allo sfinimento canzoni come “The Immortals”, “A Life Beyond” o la titletrack, restituisce appieno l’immagine di una formazione all’apice della forza e della grinta. La Storia della Svezia estrema, in definitiva, passa anche da qui.