8.0
- Band: UNMERCIFUL
- Durata: 00:38:20
- Disponibile dal: 23/05/2025
- Etichetta:
- Willowtip Records
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Una tempesta programmata per uccidere. Il ritorno degli Unmerciful, a cinque anni dal precedente “Wrath Encompassed”, è uno di quei dischi in grado dapprima di imporsi per il loro approccio feroce e strabordante alla materia death metal, addensandosi in maniera tale da non concedere tregua o respiro all’ascoltatore di turno, e che in un secondo momento, fra le maglie di un suono perentorio e severissimo, svelano un songwriting così metodico e chirurgico da non poter lasciare indifferente chi, di questa musica, apprezza anzitutto l’arte del riff in un contesto intransigente e disumano.
Un’opera che ricerca nell’annientamento – trovandola – la propria ragion d’essere, e che sfuma nel sangue ogni sua azione per assurgere a manifesto programmatico di un certo tipo di death metal a stelle e strisce, risultando presto lo sforzo più riuscito della formazione di Topeka dai tempi del famigerato esordio “Unmercifully Beaten” (2006).
Complice forse il rientro alla base di Jeremy Turner (a suo tempo, insieme all’altro chitarrista Clint Appelhanz, membro della prima incarnazione degli Origin, oltre che turnista dei Cannibal Corpse per il ciclo promozionale di “The Wretched Spawn”), il disco riacquista una propulsione dinamica che i precedenti sforzi post-reunion – lungi dal dirsi deboli o spenti – non erano riusciti a centrare, brillando dall’inizio alla fine per un raro equilibrio fra lucidità espressiva e barbarie totale.
Brani che deflagrano, liberatori, come una fucilata in pieno volto, e nei quali il death metal nella sua forma più belluina viene tirato a lucido da musicisti che sanno perfettamente dove spingersi per esaltarne le caratteristiche e le potenzialità, coniugando furia e tecnica in un songwriting dove nulla è lasciato al caso.
Ascoltando l’album, si fa quindi largo nella mente l’immagine di un gruppo che, mai persa effettivamente la bussola, recupera comunque uno slancio latitante da parecchio tempo nella sua carica a testa bassa, e che coniugando l’esperienza dei veterani (Turner e Appelhanz, appunto) con il contributo degli ultimi arrivati (il frontman Josh Riley e il batterista Trynt Kelley) torna a livelli insperati di ingegno, efficacia e distruttività.
Come sempre, il paragone con gli autori di “Antithesis” (omaggiati anche con una cover di “Vomit You Out”) sorge spontaneo, ma se altrove una tale vicinanza stilistica potrebbe mettere in dubbio la rilevanza e la personalità dell’insieme, in “Devouring Darkness” – visti i già citati trascorsi dei chitarristi – la questione diventa piuttosto un legame coerente con il passato, il prosieguo di una storia scritta fieramente nel furore e nella velocità, con episodi come “Unnatural Ferocity”, “Malice Unbound”, la title-track e “Vengeance Transcending” a ribadire lo strapotere di una scrittura basata irriducibilmente su riff con la R maiuscola e ritmiche assassine.
Una visione portata avanti da una band dotata sì di rigore e perizia, ma che è consapevole di come, senza l’istinto, non sia possibile mettere in scena una carneficina degna di questo nome, sciorinando nella quarantina di minuti della raccolta una lunga serie di evoluzioni concrete e galvanizzanti, le quali montano via via come uno tsunami di fuoco e piombo fuso.
Per gli amanti di un certo tipo di death metal teso e brutale – coloro che, non più tardi di un annetto fa, si erano esaltati dinanzi al mostruoso “Harbinger of Woe” dei Brodequin – un passaggio obbligatorio di questo 2025 sempre più denso di uscite.