8.0
- Band: VALBORG
- Durata: 00:39:16
- Disponibile dal: 17/05/2019
- Etichetta:
- Lupus Lounge
- Distributore: Audioglobe
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Il sound dei Valborg è riassumibile in una manciata di adamantine certezze: assenza di compromessi, marzialità, atmosfera; tutti obiettivi che la band tedesca ha perseguito toccando e introiettando anche sottogeneri diversi tra loro, sapendo così creare negli anni un universo musicale unico, riconoscibile e conturbante. Abbandonate quasi definitivamente le pulsioni doom – quando non apertamente funeral – che ancora facevano capolino su “Romantik” (2015) e rallentate le militaresche ritmiche che caratterizzavano il precedente “Endstrand”, qui i tre terroristi sonori fanno centro (“Zentrum”, titola l’album e non abbiamo saputo resistere al gioco di parole…) riducendo la loro personale supernova in un agglomerato pulsante ed esasperato, fatto di violenza industrial e certosina ricerca negli arrangiamenti. Immaginate un incontro tra i Celtic Frost e i Mysticum, un tappeto tribale ed estenuante su cui emergono come licheni su una distesa ghiacciata alcuni elementi affascinanti e insieme destabilizzanti; innanzitutto le voci di Buckard e Kolf, che alternano teatralità, atonalità e strappi violenti in un percorso oscuro e fortemente soggestivo. Poi le variazioni in secondo piano delle chitarre, che volano spesso lontano dalle sferzate glaciali per crescere ed esplodere nelle nostre teste ascolto dopo ascolto, e su tutto la spina dorsale del basso dello stesso Buckard, il calvo vate di una cavalcata verso terre non abitate dall’uomo, tenebrose e inospitali. Dal richiamo alle armi di “Rote Augen”, passando per le derive post dark di “Anomalie” o “Nonnenstern”, da “Nahtod”, che rivede in forma allucinata e tremendamente seria il cabaret machista dei Rammstein, giù fino alla veglia funebre di “Vakuum”, forse l’unica reminescenza del loro passato più lugubre e “canonico”: il ritorno dei Valborg è una porta aperta sull’inferno della mente e sulla sofferenza, senza per questo proporre introspezioni o spiragli di luce. Tutto è drammaticamente esposto all’ascoltatore senza sfumature, come nella copertina in bianco, nero e rosso a metà strada tra il suprematismo russo e altri –e più temibili – fantasmi tedeschi.