8.0
- Band: VALGRIND
- Durata: 00:44:26
- Disponibile dal: 25/05/2018
- Etichetta:
- Everlasting Spew Records
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In un periodo di dischi preconfezionati che cercano sempre di rifarsi ai soliti modelli, imitando ora lo stile paludoso e fosco degli Incantation, ora quello slabbrato e ruvido degli Entombed, ci sono ancora opere in grado di spezzare la monotonia di certi ‘trend’ death metal e risultare al contempo legatissime alla vecchia scuola dei Nineties. “Blackest Horizon”, terza prova sulla lunga distanza degli emiliani Valgrind, ne è un esempio lampante, configurandosi come un tributo avvincente e per nulla ruffiano a quei suoni spigolosi, refrattari alla banalità, che riecheggiavano nel panorama underground dell’epoca e di cui oggi sembra essersi persa (quasi) ogni traccia, oscurati dalle suddette copie carbone di “Left Hand Path” e “Mortal Throne of Nazarene”. Una formula che non si discosta poi molto da quella del precedente – nonché ottimo – “Speech of the Flame”, anche se va detto che tra questi solchi la capacità di scrittura del quartetto sembra essersi fatta ancora più eclettica e personale, riportando alla mente le esperienze di diversi classici del genere, come da consuetudine, ma senza ricordarne con precisione nessuna. Ecco quindi le alchimie dei primi Morbid Angel mescolarsi alle ambizioni dei Pestilence di “Testimony of the Ancients”, o la ferocia dei Brutality sovrapporsi all’imprevedibilità di Monstrosity e Nocturnus, con l’ascoltatore che se all’inizio potrebbe rimanere disorientato dal numero di riff e cambi di tempo per brano, con il passare delle fruizioni si ritroverà immerso in una dimensione ingegnosa da cui non vorrà più staccarsi. Up-tempo nervosi che cedono il passo a dinamici tappeti di doppia cassa, melodie dal sapore epico a fare capolino dallo sfondo torvo, un guitar-work che non può prescindere da un inarrestabile moto circolare, contaminazioni con altri generi mai affrettate o pretenziose (basti sentire il finale hellenic black metal di “The Empire Burns”)… questi i punti cardine di una tracklist in cui tutto – a partire dalla produzione, asciutta e tagliente come da tradizione Morrisound Studios – pare essere stato studiato nel dettaglio, brillando per incisività e attenzione verso lo sviluppo dei singoli episodi. Davvero un ottimo ritorno, quindi, che lancia definitivamente Daniele Lupidi e soci ai vertici dello scenario death metal tricolore. Non ci resta che sperare che un simile talento non resti incompreso o (peggio ancora) passi inosservato.