7.0
- Band: VAN HALEN
- Durata: 00:49:58
- Disponibile dal: 07/02/2012
- Etichetta:
- Interscope Records
- Distributore: Universal
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In questa circostanza, la verità assume sembianze affatto univoche, ma che hanno l’indiscutibile pregio di appagare le aspettative di tutti quei fan che hanno bramato per ben quattordici anni un nuovo album di ‘inediti’ della storica band di Pasadena, California. Il ritorno all’ovile di David Lee Roth, assume un significato ancora più importante, dato che una consistente frangia del pubblico non ha mai digerito la comunque dorata coppia Hagar/Van Halen e il pessimo esperimento “Van Halen III” con Gary Cherone degli Extreme. Per inciso, abbiamo volutamente virgolettato il termine inediti, in quanto, “A Different Kind Of Truth” raccoglie prevalentemente una serie di demo e outtakes composti nella stagione 1976/77, periodo nel quale è stato concepito il masterpiece “Van Halen”. Certo, i pezzi sono stati riarrangiati e tirati a lucido, lasciando opportunamente inalterato il trademark originale. Una scelta del genere testimonia inequivocabilmente il fatto che la band è oramai a corto di nuove idee, ma ha deciso saggiamente di mantenersi ben distante da inopportune svolte stilistiche in grado di snaturare il sound primigenio e di scontentare tutti. Presentato da una mediocre front cover (il logo appare malamente incollato sulla parte superiore del disegno), il disco vede l’assenza importante dello storico bassista Michael Anthony, silurato qualche anno fa in favore del giovane e corpulento Wolfgang Van Halen (figlio di Eddie). Difatti, riscontriamo due evidenti differenze dagli studio album precedenti: il volume del basso ricopre un ruolo meno importante, limitandosi a svolgere un ruolo da semplice comprimario, mentre i celebri cori vengono doppiati da Eddie e da Wolfgang, risultando meno efficaci e ficcanti del passato. Scelto come singolo, “Tattoo” (originariamente intitolato “Down In Flames”, composto nel 1978) appare come un’opera incompiuta, essendo impostato su un ritmo accattivante, che sfocia in un bridge da urlo, rovinato da un maldestro e ridondante chorus, reo di spezzare la tensione acuita precedentemente. Salvato da un funambolico guitar solo da tramandare ai posteri, il brano si spegne improvvisamente in una coda che lascia l’amaro in bocca. Le cose vanno decisamente meglio quando sale vertiginosamente l’adrenalina, grazie all’incalzante groove di “She’s The Woman” e con gli sfiancanti tour de force di “China Town” e “Bullethead”. Se il riff quadrato di “Honeybabysweetiedoll” ha lo stesso sapore di un violento pugno in faccia, l’andamento rilassato di “Blood And Fire” richiama le sonorità cromate degli anni ’80 (guarda caso proviene dalle sessions del celebre “1984”), mentre la contagiosa “The Trouble With Never” vanta un chorus perfettamente riuscito. D’altro canto non mancano brani di cui avremmo fatto volentieri a meno, come l’irritante rhythm and blues “Stay Frosty” e “Big River”, che appare come una versione meno ispirata della celebre “Runnin’ With The Devil”. David Lee Roth non ha perso la consueta verve camaleontica da interprete/cabarettista, Eddie dimostra di non essere inferiore a nessuno, dato che è ancora in grado di generare assoli alla velocità della luce, senza perdere un briciolo di buon gusto, rimarcando allo stesso tempo lo stile ed il sound che ad oggi lo rende unico e riconoscibile tra mille. Il fratello Alex non perde una battuta dietro le pelli, fungendo da affidabile metronomo, ma fantasioso nell’esecuzione. Non possiamo certo lamentarci, dato che all’interno di questo disco, troviamo tutti gli ingredienti che hanno conquistato il cuore dei fan; difatti la famiglia Van Halen ha dato esattamente al pubblico ciò che voleva. Non c’è spazio per le polemiche, compratevi il disco e ne sarete soddisfatti. Amen.