10.0
- Band: VAN HALEN
- Durata: 00:35:34
- Disponibile dal: 10/02/1978
- Etichetta:
- Warner Bros
- Distributore: Warner Bros
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L’anno che sta per chiudersi, come tutti sappiamo, verrà ricordato per molto tempo come uno dei più nefasti della storia recente. Tra le tante brutte notizie, si è aggiunta, questo ottobre, quella della prematura dipartita di Eddie Van Halen, dopo una lunga battaglia contro un tumore. Inutile dire quanto questa sia stata una perdita inquantificabile per il mondo chitarristico e della musica in generale, considerato il contributo fondamentale che il musicista di origine olandese ha dato allo sviluppo di molteplici tecniche chitarristiche e ad un nuovo modo di concepire la musica rock in generale.
I Van Halen nascono da un’idea degli omonimi fratelli, Eddie e Alex, nati nei Paesi Bassi ma cresciuti a Pasadena, i quali erano alla costante ricerca di un modo per fare un rock ‘diverso’. Nel 1974, dopo varie vicissitudini, i Nostri riescono a mettere insieme la squadra che li porterà sul tetto del mondo, aggiungendo al collettivo il talentuoso bassista Michael Anthony e l’istrionico frontman David Lee Roth, buon cantante ma dotato principalmente di una presenza scenica unica e terremotante. Nella prima metà degli anni ’70, i ragazzi cominciano a farsi un nome all’interno della sempre affollata scena della California del sud, diventando una presenza fissa di locali iconici quali Whisky a Go-Go e Gazzarri’s. Nel corso di questi anni la loro strada s’incrocerà con quella di Gene Simmons dei Kiss, il quale, impressionato dalle loro performance dal vivo, decide di produrre il loro primo demo. Sfortunatamente però, la casa di produzione dei Kiss non reputava i Van Halen un cavallo vincente sul quale puntare. I Van Halen non si danno per vinti e continuano a suonare in lungo e in largo, fino al momento in cui la dea bendata decide di bussare alla loro porta. E’ il 1977, siamo allo Starwood, popolare locale di Hollywood, e la band è di scena. Solo che in tale occasione sono presenti Mo Ostin e Ted Templeman, rispettivamente dirigente e produttore della Warner Bros, che restano estasiati dalla pirotecnica esibizione del quartetto, lasciando ai Nostri una promessa di contratto scritta su di un tovagliolo del locale. E così ha inizio l’epopea dei Van Halen, con la produzione del selftitled qui recensito, registrato a fine anno negli studi Sunset Sound Recorders in maniera volutamente spartana per volere della band, per preservare la dimensione live della proposta. Ed il resto, come sappiamo, è storia: il disco è stato un successo totale per l’epoca, presentando un sound unico e trascinante, andando a vendere oltre dieci milioni di copie, numeri impensabili al giorno d’oggi; ogni traccia trasuda personalità, energia e dinamismo, l’urlo disperato di una band che si sentiva ristretta nella scena dell’epoca e che si voleva divertire, mescolando in maniera unica e personale rock e blues, punk e divagazioni neoclassiche, sfociando spesso nel metal, puntando sempre e comunque a fare più rumore degli altri.
Le danze si aprono con “Runnin’ With The Devil”, midtempo fresco e cadenzato dove facciamo la prima conoscenza con l’estro di Eddie Van Halen ed il suo dinamismo chitarristico, per poi restare a bocca aperta grazie alla successiva “Eruption”, storico solo del chitarrista olandese, in cui assistiamo per la prima volta alla sua distintiva tecnica del tapping a due mani, una vera rivoluzione per il mondo rock dell’epoca. Si continua con “You Really Got Me”, splendida cover del famoso pezzo dei britannici The Kinks, che i VH rimodulano in maniera energica e personale, per poi arrivare a “Ain’t Talking ‘Bout Love”, ennesimo capolavoro della band californiana, trascinato da uno dei riff più iconici della storia della musica, perfetto nella sua semplicità. Con “I’m The One” raggiungiamo le vette compositive di questo “Van Halen”, venendo colpiti da una scheggia impazzita di rock isterico, veloce e incalzante, dove il tappeto ritmico creato da Alex Van Halen e Michael Anthony crea terreno fertile per le escursioni soliste dell’incontenibile Eddie, stupendoci in chiusura con una divagazione in scat jazz. “Atomic Punk” mostra il lato più ruvido della band con distorsioni dinamiche, mentre “Feel Your Love Tonight” ha nel groove il suo assoluto punto di forza. Riusciamo a rifiatare un po’ con la morbida ballata blues “Ice Cream Man”, anche se la pausa dura poco dato che il pezzo esplode sul finale con un assolone del buon Eddie, che trasforma il pezzo in un’altra bordata a tutto rock. Alla chiusura del sipario veniamo salutati da “On Fire”, altro brano bombastico che ci fa scalpitare, portandoci a voler ascoltare tutto da capo.
Ovviamente il disco ha avuto un successo planetario, portando la band sul tetto del mondo per circa un decennio. Nel 1985 David Lee Roth abbandona la barca, cercando fortuna da solo, e verrà rimpiazzato da Sammy Hagar dei Montrose, dando il via al secondo corso del gruppo di Pasadena. Ma il debutto della band californiana è stato senza ombra di dubbio uno dei dischi più influenti della storia del rock, un punto di non ritorno che è riuscito ad ispirare tantissimi musicisti, riuscendo a cambiare per sempre le regole del gioco. Sono davvero pochi gli album che hanno avuto una tale influenza sul mondo della musica, e ciò lo possiamo affermare senza timore di smentita. Idealmente, ci sentiamo di dire che il rock può essere diviso tra pre- e post- Van Halen, e non è affatto difficile capire perché. La band sarà ricordata per la sua unicità, per il suo pionierismo e per il suo talento, il tutto coadiuvato da una presenza live fuori dal comune. La perdita di Eddie è stata un duro colpo per tutti gli amanti della musica, causando un vuoto che difficilmente potrà essere colmato; ma fintanto che il suo testamento musicale perdurerà, ci saranno sempre dei ragazzini che decideranno di prendere in mano una chitarra per mettere a soqquadro il mondo. Grazie Eddie, grazie Van Halen. Ci mancherete.