7.0
- Band: VANDEN PLAS
- Durata: 01:01:05
- Disponibile dal: 04/12/2020
- Etichetta:
- Frontiers
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I Vanden Plas chiudono le vicende della storia iniziata con “The Ghost Experiment – Awakening”, con questo secondo full-length, sottotitolato invece “Illumination”. Viene così alla fine svelato come la trama fosse ispirata ad un esperimento realmente provato nel 1972, conosciuto come “The Phillip Experiment”, nel quale un team di ricerca aveva inventato di sana pianta la biografia di un immaginario personaggio vissuto nel XVII secolo, per dimostrare come le sedute spiritiche dessero luogo a fenomeni determinati dall’immaginazione e dalla mente umana. Ebbene, in occasione di quell’esperimento, effettivamente si verificarono situazioni e fenomeni tipici di una seduta spiritica (anche se fino ad un certo punto e con alcuni limiti): i Vanden Plas tuttavia estremizzano non poco questa situazione, tanto che il protagonista (facciamo un po’ di spoiler, ma tanto vale saperlo subito, sia perchè viene espressamente spiegato da Andy Kuntz, sia perchè altrimenti si farebbe fatica a seguire la storia) scopre che lui sarebbe addirittura un’entità materializzatasi da un esperimento di questo tipo, per cui i tre demoni che sembravano perseguitarlo altro non erano che tre ricercatori. Insomma, non stiamo a raccontare tutto, ma praticamente siamo paradossalmente a livelli in cui un esperimento scientifico provato per spiegare fenomeni soprannaturali viene riportato quasi alla fantascienza.
Come già accaduto in passato, in effetti, delle ottime intuizioni e delle idee di partenza davvero interessanti, vengono poi sviluppate dal gruppo tedesco in maniera un po’ discutibile e, trattandosi di un concept, fanno perdere di credibilità al tutto. A ciò, dobbiamo aggiungere la sensazione di una forte autoreferenzialità che sembra caratterizzare la band da qualche tempo a questa parte, con riff e soluzioni melodiche ormai abbastanza tipiche dei Vanden Plas e con un approccio interpretativo, soprattutto da parte di Andy Kuntz e dei fratelli Lill, che appare praticamente sempre identico. Può darsi che il fatto che la band si concentri su tanti altri progetti, tra cui musical e opere teatrali, possa averli portati nella loro visione a tenere i Vanden Plas ingabbiati e fossilizzati in una determinata maniera, da cui non sembrano volersi smuovere più di tanto. Ad ogni modo, tutto sommato, se prendiamo l’album in sè, ci sono brani che possono risultare anche apprezzabili, ma se lo confrontiamo con tutto il resto della discografia della band, sembra di trovarsi quasi di fronte ad un riciclo di cose già sentite e rielaborate in una veste nuova ed accattivante. Di fatto, ci sembra che Gunter Werno sia in effetti quello che riesca meglio a dare un’impronta nuova e più fresca alle composizioni, svolgendo con le sue tastiere un lavoro di grande effetto (così come nell’album precedente) e, non a caso, tra le tracce che ci hanno maggiormente colpito possiamo annoverare quelle da lui composte, ovvero la splendida “The Lonely Psychogon” e, per quanto semplice, la malinconica e carica di pathos “Ghost Engineers”, di fatto la conclusione del concept. L’ultimo brano vero e proprio, infatti, altro non è che la cover di una canzone dei Saltatio Mortis, il cui testo però è in inglese a differenza dell’originale in tedesco: tra l’altro, partecipa a questa versione come guest lo stesso cantante Alea der Bescheidene, ma non si tratta dell’unico ospite, dato che Ulli Perhonen (Snow White Blood) canta in un paio di tracce (“Black Waltz Death” e “Ghost Engineers”), mentre ai cori ritroviamo Oliver Hartmann (Avantasia) e Herbie Langhans (Firewind).
Insomma, a conti fatti, chi ama il prog metal difficilmente potrà restare del tutto indifferente a questo nuovo lavoro dei Vanden Plas: per contro, va anche detto che sembra più un album quasi di mestiere che non un’opera davvero in grado di appassionare ed entusiasmare. Difficile esprimere dunque un giudizio definitivo di fronte a un disco di questo tipo: come dicevamo sopra, preso in sè non è affatto un brutto album, perchè ci sono alcuni spunti molto interessanti e a livello strumentale parliamo di musicisti di altissimo livello. Tuttavia, pur sorvolando sull’aspetto del concept, che finisce per sminuire delle liriche già di per sè a dir poco criptiche, ad ogni ascolto sembrano emergere sempre nuovi pregi accanto a nuove riserve. Non è certamente un capolavoro, nè un album da buttare, ma paradossalmente non possiamo neppure considerarlo il tipico disco nella media: semmai, è un lavoro nella media dei Vanden Plas, ovvero di una band che ci ha abituati ormai a far convivere cose davvero scontate accanto a vette qualitative altissime e questo forse spiega perchè, in effetti, non sembra mai essere riuscita realmente a sfondare come avrebbe potuto.