7.5
- Band: VANHELGD
- Durata: 00:44:08
- Disponibile dal: 07/01/2016
- Etichetta:
- Pulverised Records
- Distributore: Audioglobe
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Con impeccabile puntualità, i Vanhelgd si ripresentano con un nuovo album a due anni esatti dall’uscita dell’apprezzato “Relics of Sulphur Salvation”; con “Temple of Phobos” arriva puntuale anche l’ulteriore sviluppo di alcune delle impronte sonore che erano state testate per la prima volta nel 2014. Gli ingredienti con cui gli svedesi ci avvolgono in questo capitolo sono infatti più variegati rispetto a quelli messi in mostra nei dischi precedenti. Si tratta sempre di death metal, volutamente privo di virtuosismi e di qualsiasi riferimento a forme moderne di estremismo sonoro; ciò che sottolinea la svolta in questa circostanza è la maggiore insistenza su tempi medio-lenti e il potenziamento della componente melodico-atmosferica. I Vanhelgd erano partiti come un gruppo decisamente rozzo e sguaiato, ma in questi anni hanno evidentemente imparato a prendersi più sul serio, finendo per dare al proprio songwriting un tono più austero e ricercato. Se un tempo i ragazzi puntavano tutto su tracce incendiarie, suonate per bruciare velocemente e in maniera incauta, oggi l’approccio è completamente diverso. Un’aura doom e black metal ricopre i brani, l’atmosfera è distintamente luciferina, l’incedere solenne ed evocativo. La fruizione del lavoro non è delle più immediate, ma delle aspettative di fan e media i Nostri chiaramente se ne fregano. La sensazione diventa lampante all’arrivo di un pezzo come “Den Klentrognes Klagan”, con i suoi cori e gli inaspettati interventi di tromba: questo è un progetto musicale dalla spina dorsale solida e ben definita, il quale non ha paura di mettersi in gioco. C’è la stessa perversione che ricordavamo nei capitoli precedenti e l’intento generale è ancora quello di narrare cronache macabre, solo che in “Temple Of Phobos” tutto questo prende una piega più ambigua. A tratti sembra quasi di trovarsi al cospetto di un ibrido a base di Grotesque, Desultory e primi Paradise Lost: un sound fuori dal tempo, in cui l’unica tendenza valida è quella di non dare ascolto alle correnti più in voga al momento. Abbiamo tra le mani un lotto di brani da ascoltare con calma e attenzione, una tracklist che apre definitivamente nuovi orizzonti per la band scandinava. Poteva magari starci qualche variazione sul tema, dato che quasi ogni traccia sembra seguire grosso modo la stessa struttura, ma per il decisivo perfezionamento della formula c’è ancora tempo. Bentornati.