7.5
- Band: VASTUM
- Durata: 00:38:03
- Disponibile dal: 10/11/2023
- Etichetta:
- 20 Buck Spin
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Dopo avere bruciato le tappe nei primi anni di carriera, pubblicando nel giro di breve tempo una notevole mole di materiale spalmata su tre full-length, i Vastum hanno iniziato a prendersi più tempo prima di ogni nuova sortita, affinando la propria proposta nell’ottica di un generale ampliamento dei suoi confini, con il death metal che ha iniziato a fare da base anche per alcune derive più atmosferiche, con frammenti di crepuscolare abbandono interposti tra le partiture più classiche. Da questo punto di vista, “Inward To Gethsemane”, il quinto album del gruppo californiano, si configura come una prova particolarmente curata, svelando gradualmente e al tempo stesso con decisione le nuove ambizioni della band, evocando in alcuni punti una sensazione di meraviglia, contemplazione e ansia, oltre a quella verve e a quella tensione che di norma ci si aspetterebbe da una realtà nata sugli ascolti di gente come Grave, Demigod e Bolt Thrower.
Il disco si pone nel segno di una continuità con il precedente “Orificial Purge”, condividendone l’attenzione per le strutture ritmiche e il puntuale allestimento di lacerazioni ipnotiche su una superficie di sostanza old school death metal che, quando lasciata libera di procedere a briglie sciolte, spazza via ogni dubbio sulla veracità dei cinque.
Evitando come sempre di dilungarsi troppo, la tracklist si sviluppa su una ragnatela di ritmi legnosi che fanno da base a un continuo gioco di pesi e contrappesi emotivi, con riffoni ignoranti che si alternano a passaggi in cui gli inquietanti sibili, urla e sussurri della cantante/chitarrista Leila Abdul Rauf fanno emergere un mood sinistro e sempre meno inquadrabile a livello stilistico. “Inward To Gethsemane” è certamente il lavoro più torbido della discografia dei Vastum, con una tracklist che, dopo vari ascolti, finisce quasi per risultare una raccolta di fotografie in un bianco e nero sfumato da ombre, riflessi, densità e messa a fuoco dei soggetti immortalati. Proprio questa punta di enigmaticità rende l’ascolto avvincente, visto che, accanto si consueti rimandi alla scena death metal dei primi anni Novanta, questa volta emergono con più regolarità delle variazioni tonali, un gioco di rigidità/fluidità e un respiro di smarrimento.
In questa nuova manciata di composizioni si coglie insomma una musicalità rivelatrice, una dimensione più matura che ora rende gli statunitensi qualcosa in più dell’ennesimo gruppo di discepoli dei vecchi maestri. All’interno della proposta dei cinque, sta iniziando a emergere un trait d’union fra una ricercatezza mai fine a sé stessa e sonorità vecchio stampo che potrebbe portare a risultati ancora più interessanti nel prossimo futuro. Sembra insomma che si sia aperta una nuova era per Leila Abdul Rauf e compagni.