8.0
- Band: VEIL OF MAYA
- Durata: 00:43:58
- Disponibile dal: 20/10/2017
- Etichetta:
- Sumerian Records
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I Veil Of Maya sono ormai sinonimo di qualità incondizionata per quanto concerne il filone djent, non avendo mai realmente mancato un appuntamento dai propri albori a questa parte, avendo i nostri seguito una curva di crescita pressoché sempre in ascesa che li ha portati ad essere una band degna di assoluta deferenza, nonchè uno dei veri cavalli di punta della Sumerian Records. Oggi, tredici anni e sei album dopo, la band di Chicago sforna un’altra bomba atomica che dimostra quanto tra i più diretti competitori e i ragazzi dell’Illinois ci sia davvero un abisso, a dispetto della loro indubbia prolificità artistica. I ragazzi sfornano gran musica con una facilità inverosimile, non arrivando mai ad ammorbare l’ascoltatore con due dischi uguali, avendo il buon gusto di tentare soluzioni inedite per ogni tassello della propria discografia, ed anche per questo “False Idol” la musica non cambia (figurativamente). Dopo le derive semi-pop di “Matriarch”, con l’innesto in formazione del vocalist Lukas Magyar, che ha aggiunto una sensibile versalità al comparto vocale, il combo americano si è ricordato che da il meglio di sé quando tira fuori gli artigli, e ce ne accorgiamo immediatamente grazie all’opener “Fracture”, badilata dietro la nuca, caotica ma misurata, dove i nostri, tra ritmiche meshugghiane, effettistiche cyber e groove a pioggia, ci ricordano quanto il sangue bolla ancora nelle loro vene, cercando in qualche modo di fornire l’incipit giusto ai fan. Ma la festa non finisce qui, perché il combo del Midwest decide di dare al proprio ascoltatore un’esperienza a tutto tondo, bazzicando con disinvoltura tra le varie sonorità che hanno fatto proprie in passato, declinando il tutto nella consueta maniera dinamica e funzionale. Di conseguenza, si spazia dalle esplorazioni djentcore dure e pure – “Doublespeak”, “Overthrow”, “Whistleblower”, non per niente tutti e tre selezionati dalla band come singoli promozionali – passando per il groove arzigogolato di “Pool Spray”, smorzato dalla dolcezza prog di “Manichee”, ma anche nei territori del post-rock sporcato di deathcore con “Citadel”, e altro ancora che per amor di sintesi preferiamo lasciare scoprire all’ascoltatore. Ed il sentore che questo capitolo VI della discografia dei ragazzi del Midwest ci dà, dopo un primo ascolto, è proprio un ritorno alle durezze arzigogolate dei tempi di “[id]”, ma anche ad un adeguato bilanciamento con le morbidezze di “Matriarch”, che ci dava tutti gli indizi di essere un album di transizione per gli statunitensi, i quali sembrano avere adesso trovato la vera chiave di volta della propria fucina musicale. Se questo “False Idol” sa piacere e rimanere impresso dopo un primo ascolto, anche distratto, e con il proseguire dei giorni che si evolve e consente all’ascoltatore di scoprire lati reconditi che prima erano sfuggiti, probabilmente a causa della sovrabbondanza di input che la band tende a tessere nelle proprie composizioni, arricchendo ulteriormente l’esperienza di volta in volta. Volendo usare una metafora bellica, i Veil Of Maya di questo 2017 sono un battaglione, perfettamente addestrato, organizzato e compatto, inattaccabile sotto ogni fronte, al culmine della propria fase di conquista. In una parola: inarrestabili.