8.5
- Band: VEKTOR
- Durata: 01:08:03
- Disponibile dal: 17/11/2009
- Etichetta:
- Heavy Artillery
- Distributore: Audioglobe
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Ascrivibili all’ondata revival di thrash ottantiano? Forse. Troppo giovani per aver vissuto l’epoca d’oro della Bay Area? Sicuramente! Riducibili ad epigoni dei maestri senza la capacità di aggiungere qualcosa? Assolutamente no. I quattro capelloni tutti toppe, jeans e cartucciere a tracolla che da Tempe, Arizona, ci scagliano contro il loro nuovo “Black Future”, seconda prova sulla lunga distanza ma vero esordio ufficiale, si fanno chiamare Vektor, e sono uno dei migliori esempi di cosa vogliano dire passione ed intelligenza applicate all’eredità metallica del recente passato. Le influenze sono innegabili e dichiarate: Voivod (vedi il logo), Metallica, Slayer, Watchtower, Kreator, Vio-lence e Death le più evidenti, rintracciabili tutte nei pezzi del CD e cesellate in un vortice incredibile di emozioni e scenari sonori. Anche se è difficile annotare la totalità di spunti ed idee mescolati nei dieci brani dell’album (altri gruppi se ne sarebbero serviti per produrre almeno quattro lavori) il track-by-track aiuta a tessere compiutamente le lodi dei Vektor. Si parte con la titletrack, pezzo a mille dove gli Slayer più violenti copulano selvaggiamente con gli Atheist e con un immaginario lirico tra Voivod ed Hawkind (quest’ultima, caratteristica costante nel disco), e subito è vetrina delle immense doti tecniche dei due axeman David Disanto (anche alla voce) ed Erik Nelson. La seguente “Oblivion” non è da meno: voce acida alla Death con punte di King Diamond e Mille Petrozza, cento riff assassini ergonomicamente incastrati, ed ulteriore centro pieno alla voce assoli: esaltanti ed oldschool. Già è chiaro che non siamo nel campo del puro revival. Infatti le fonti già citate vengono fantasiosamente arricchite da altre vene: emergono gli Iron Maiden ed una discreta dose di epicità, che si riflette anche nei testi ed è rafforzata dalla capacità dei nostri di creare figure ritmiche e lick memorizzabili e puntuali, abilmente descrittivi di quanto narrato. È difficile credere che quei faccini ancora da post adolescenti nascondano tali eminenze grigie! “Destroying The Cosmos” continua l’assalto all’arma bianca, alleggerito solo dall’inizio zeppeliano ma perpetrato dalle cavalcate quasi Holy Terror della batteria che svelano anche un’anima death. Forse poteva durare un minuto in meno, ma siamo ben lontani dalla possibilità di annoiare l’ascoltatore. “Forests Of Legend” sembra dei primi Annihilator, ma uno schema quasi power metal irrompe a cambiare il tono del pezzo, virando poi ulteriormente su una trama più ragionata rispetto al trittico iniziale. Verso il settimo minuto un sinistro reticolato di arpeggi spezza bene e completa la rosa di sensazioni di questa pièce de résistance di dieci minuti. “Hunger For Violence” asseconda il titolo e torna a picchiare ancora più duro, con chitarre vorticose e senza sosta che disegnano scenari di desolazione cosmica e gelidi vuoti siderali, mentre “Deoxyribonucleic Acid” è uno dei cardini del disco, inarrivabile nel suo inizio che profuma di Maiden e con un riff da antologia che inossa le diverse velocità della canzone. Monumentale. Più visionaria “Asteroid”, che spinge più sul groove ma che ci regala un ritornello di classico thrash anni ottanta che più classico non si può. Non si può rimanere impassibili di fronte all’energia sprigionata, e anche se l’esuberanza giovanile indubbiamente profusa va quasi in distorsione da quanto è in picco, col rischio di sovraccaricare il disco, non si riesce a farne a meno ed anzi se ne vorrebbe ancora. “Dark Nebula”, a parte l’incipit piuttosto simile a “Hunger For Violence”, è dieci minuti di alternanza tra riff cantabili e voce al vetriolo, lick striscianti e fantasia in fase solista, cavalcate death e twin guitar. Tutto senza perdere in qualità. A chiudere magistralmente c’è “Accelerating Universe”, summa maxima del disco e sorta di cosmogonia in musica che parte dal thrash dei Metallica e degli Slayer, e attraversando vocals allucinanti e corrosive in pitch, primi Iron e Dark Tranquility, ci abbandona su sonde spaziali lanciate alla velocità della luce ed in fredde agonie nelle lande più remote dello spazio interstellare, in buchi neri gravitazionali che risucchiano pianeti esplosi, rumore bianco dopo l’Apocalisse, eoni di vuoto senza albe. La fine è vicina ed il futuro è nero, anzi nerissimo…