7.0
- Band: VENDED
- Durata: 00:36:20
- Disponibile dal: 27/09/2024
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Dura la vita dei figli d’arte: certo, c’è il vantaggio di nascere in un contesto agiato e ricco di stimoli fin dalla più giovane età, ma al tempo stesso proprio lo status privilegiato può far venire la sana fame di emergere, così come il cognome ha un peso proporzionale alla fama dell’illustre genitore. Negli anni – dallo sport alla musica, un po’ meno nel cinema – abbiamo visto tante progenie scegliere altre strade o restare molto lontani dai fasti parentali, ma ultimamente forse qualcosa sta cambiando.
Se nel calcio gli esempi recenti non mancano – dai Thuram alla dinastia Maldini – anche nella nostra musica preferita, dopo anni di parentopoli con i The Raven Age e Lauren Harris, si assiste a fenomeni interessanti come quello dei Vended, formazione capitanata da Griffin Taylor e Simon Crahan, ovvero i figli del numero 8 e del numero 6 dei nove mascherati più famosi dell’Iowa.
Forti di un EP e un’intensa attività live (di spalla a gruppi come P.O.D. e Jinjer, ma anche con tour da headliner nei piccoli club) i cinque debuttano con un disco omonimo che, come prevedibile, porta avanti lo stile della casa in tutto e per tutto. Certamente non sono i primi né saranno gli ultimi a muoversi nel solco tracciato da lavori seminali come “Slipknot” e “Iowa” – citiamo in ordine sparso Red Method, Graphic Nature e Tallah – ma in questo caso i paragoni sono ancora più evidenti soprattutto per quanto riguarda il cantato di Taylor Jr., pressoche clone di Corey specie sulle parti pulite, come evidente fin dalla traccia di apertura “Paint The Sky”.
Le similitudini parentali, dalle aperture melodiche di “The Far Side” a “Am I The Only One” ai blast-beat di “Nihilism” e “Downfall”, passando per certi passaggi in stile Stone Sour figli dei lavori più recenti (“Serenity”), sono una costante per la mezz’ora abbondante di durata del disco, anche se sul finale l’impressione è quella di voler allungare un po’ il brodo tra intermezzi strumentali (“Ones”) e outro (“As We Know it”).
In un futuro distopico non è un azzardo immaginare un passaggio di consegne dietro le maschere – Michael Myers docet – e in questo senso anche il talento percussivo di Simon Crahan lascia ben sperare (non siamo ancora ai livelli di Jordison, ma certamente meglio del padre) mentre il resto della band svolge egregiamente il suo compito come dei nameless ghoul, cui manca giusto qualche addetto ai sample per chiudere il cerchio.
In attesa di vedere cosa riserverà il futuro, possiamo parlare di un debutto certamente derivativo ma dotato di quella sana cazzimma che permette di andare oltre la carta d’identità: buon sangue non mente, ma soprattutto ribolle di quella rabbia in parte sopita nell’azienda di famiglia.