7.0
- Band: VENOM PRISON
- Durata: 00:48:59
- Disponibile dal: 04/02/2022
- Etichetta:
- Century Media Records
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Il cammino continua a essere errabondo e la meta non sempre ben precisa, ma, al terzo disco, l’operato dei Venom Prison inizia a offrire qualche risultato concreto. Dopo esordi sì baciati da parecchio hype, ma tutto sommato molto confusi dal punto di vista artistico, il gruppo inglese sta iniziando a ingranare con una proposta che – perse man mano per strada certe forzature extreme metal sempre apparse fuori luogo – si sta avvicinando a una discreta forma di melodic death metal moderno, la cui impronta espressiva deve più di qualcosa alla scuola Arch Enemy.
Se in passato la band era solita partire da una serie di suoni e di rimandi per poi giocarci sopra, alla perenne ricerca di nuovi spunti, punti di partenza e colpi di scena per dare alle proprie canzoni uno sviluppo il più stravagante possibile, con “Erebos” buona parte del songwriting si mantiene con i piedi per terra, cercando una via più scorrevole e talvolta orecchiabile. La cantante Larissa Stupor ha iniziato a utilizzare il pulito in alcuni frangenti e tale elemento può probabilmente avere portato il gruppo su coordinate più armoniche anche in termini di strutture: l’opener “Judges of the Underworld” si sviluppa principalmente attorno a motivi e a un chorus subito riconoscibili, mentre una traccia come “Comfort of Complicity” mostra come i ragazzi abbiano assorbito la lezione di Michael Amott pure a livello di arrangiamenti chitarristici, con assoli e pennellate di melodia che guardano ai momenti più vivaci dei succitati Arch Enemy. Detto che i ricami di tastiere su “Pain of Oizys” sono forse un passo sin troppo azzardato e kitsch in questo contesto, in generale si apprezza il processo di alleggerimento che ha parzialmente interessato le composizioni del gruppo: in passato vi era sempre troppa carne al fuoco, con strutture inutilmente contorte e la frequente impressione che i ragazzi stessero cercando di calarsi nella parte della death metal band brutale e oltranzista, senza tuttavia averne le necessarie capacità tecniche. Qualche imprudenza in tal senso (assieme ad alcune lungaggini evitabili) è presente anche qui, ma, in generale, si può dire che con “Erebos” i Venom Prison abbiano finalmente trovato una formula meglio definita, vicina a una coralità e a un’emotività maggiormente nelle loro corde, entrambe ben sottolineate dalla competente produzione di Scott Atkins (Cradle Of Filth, Stampin’ Ground).