7.0
- Band: VERWOED
- Durata: 00:43:45
- Disponibile dal: 29/03/2024
- Etichetta:
- Argento Records
- Wolves Of Hades
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È un percorso di ricerca inquieto, colto e dalle poche barriere quello portato avanti da Erik B. e il suo progetto Verwoed. Con questo “The Mother” esso giunge al secondo album, a circa cinque anni da “De Val” e pare proiettarsi verso un mondo sonoro dai mille spunti e contaminazioni, che partendo dal black metal cerca di abbracciare pulsioni da esso lontano, secondo un processo di annessione e mitigazione certamente non inusuale.
Secondo gli standard di certo black metal europeo moderno, molto scorrevole, dai suoni puliti e nitidi, oltre che teatrale e portato a suscitare stupefazione, l’operato di Verwoed aveva già dato modo di incutere un certo fascino con i passati capitoli, in bilico tra carnalità e cerebralismo. Un linguaggio che partiva dal gusto per la dissonanza algida e destrutturata di tanto black metal odierno, divagava tra darkwave e post-punk, allargava gli orizzonti nel post-rock, si adombrava di atmosfere gotiche e spruzzava su di sé una patina allucinogena tipica della psichedelia più ombrosa.
Idee e volontà radicate ai due capi dell’Europa e nel mezzo, con la corrente islandese e quella greca di ultima generazione a fungere da influenze primarie, con appena in secondo piano qualche analogia con coeve realtà tedesche, tipo agli Ascension, oppure le armonie sibilline della scena polacca di Blaze Of Perdition e Mgła. “The Mother”, in prosecuzione ai capitoli precedenti e allargandone la gittata, prende volentieri una piega cerimoniale, sciamanica, andando a incorporare tratti neofolk ipnotizzanti, come quelli odoranti incenso e mistero dell’opener “A Prayer Of Blood And Fire”.
L’onda psichedelica che si infrange sulle scogliere di chitarre liquide e nebbiose pare anche richiamare degli Oranssi Pazuzu meno stravolti dagli effetti, ponendo Verwoed, nelle sue sembianze più dilatate e crepuscolari, in un punto indefinito della galassia black metal, sospeso tra voglie di raccontare l’astrattismo e tornare, invece, a una dimensione di suoni netti e intransigenti. In questo svolazzare tra cosmo e inferni, ritmi battenti e rintocchi acustici raddoppiati da elettricità visionaria, emergono la sinuosità incantatrice della title-track e “The Child”, che racchiudono perfettamente sia la teatralità di questa forma di metal estremo, che la sua anima introversa e riflessiva. Il black metal in fondo pare essere un ponte tra sonorità criptiche, dolcemente lugubri e doom/gotiche in senso lato, con un nient’affatto celato gusto per post-punk e darkwave a renderle sottilmente seduttive.
Il cantato spesso declamatorio e accorato si amalgama bene a partiture che difficilmente si fanno veramente intransigenti e ferali, prediligendo la messa in mostra di melodie confortevoli e quasi ammiccanti, per chi non è avulso da questa tipologia di suono. Quando si ondeggia in momenti strumentali più minimali e poco impetuosi, sembra quasi di ascoltare i Dool, band avente più di un’analogia con i Verwoed attuali, e non è un caso che su “De Val” ci fosse anche l’efficace comparsata in un brano (“Verder dan het licht”) della loro leader Raven van Dorst.
Nel complesso “The Mother” si ascolta volentieri, anche se c’è ancora qualche difetto di personalità che ci porta a frenare gli entusiasmi: Erik B. fa bene tante cose, ma va poi ad accodarsi, seppur con costrutto e competenza, a discorsi già sviscerati altrove; anche i richiami ad altre realtà non sono di per sé, ovviamente, nulla di tremendo, ma in questo caso si ha la sensazione che non si riesca ancora ad andare completamente oltre e modellare una propria idea sonora netta e distintiva. Detto questo, il disco funziona e per chi ama forme black metal evolute e mitigate da stili meno estremi, si rivelerà un ascolto appagante.