
8.0
- Band: VESSEL OF INIQUITY
- Durata: 00:45:12
- Disponibile dal: 06/08/2021
- Etichetta:
- Sentient Ruin
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Di istinto, di pancia, di pura, incontaminata rabbia repressa. E di ingegno, voglia di costruire qualcosa che esprima innanzitutto la propria deviata concezione del metal estremo. Ha già compiuto dei fragorosi passi in avanti il progetto Vessel On Iniquity del per nulla tranquillo A. White, polistrumentista del Regno Unito che in un paio d’anni giunge al quarto full-length di un ibrido extreme metal molto anglosassone. Prendete il black, il death, il noise metal più spigolosi e tecnologicamente avanzati, shakerateli con l’industrial, rimpinzateli di orrore, di atrocità, fateli cadere nel buio, sporcateli; senza renderli irriconoscibili, attenzione, perché un poco di pulizia non dispiace e le scabrosità, ben presenti, non debbono sovrastare il gusto per la vera musica. “The Doorway” amplia i confini sensoriali di quello che si va normalmente a cercare, e ci si aspetta di trovare, da uscite di questo tipo: turpitudine, senso di sopraffazione, angoscia, certo, non mancano. Ma come insegnano alcune forme di macellazione moderna in onde sonore – pensiamo al caso eclatante di un “The Baneful Choir”, firmato Teitanblood – non è eccedendo nel disordine che si arriva a far male sul serio. Meglio mantenersi uno o due passi indietro la cacofonia, presentarci un banchetto di esagitazioni sfrontato, brutale, e levigarlo quel che basta per dargli una speciale nitidezza.
Il lungo periglio di “By Allusion Called”, con le sue brusche cesure e passaggi di consegna tra avant-grind spettacoloso e abissi funeral doom, il suo decantare note sinistre in un buio impenetrabile, sintetizza un pensiero arguto, labirintico ma lucido. La drum-machine può accelerare fino agli umani limiti, le chitarre tritare note oltre la ragionevolezza, ma una musicalità di fondo permane, filo conduttore nient’affatto esile. Il tormento si espande voluminoso cavalcando riff concreti e in divenire, l’atmosfera può farsi cangiante e avere, nella sua spessa severità, sfumature pregevoli. Nella faretra di Vessel Of Iniquity ci sono frecce in grado di deteriorare poco per volta, oppure di colpire dritte al cuore in pochi istanti. Nel secondo caso, le pulsioni grind spadroneggiano, calamitando le velenosità black e death metal in percentuali differenti a seconda dei casi, non perdendo mai alcunché in quanto a dinamismo. Le contaminazioni ambient ed elettroniche si amalgamano perfettamente alla componente metallica, tanto che diventano una cosa sola: lo spirito è quello dei momenti più nevrotici di Dragged Into Sunlight e An Axis Of Perdition, con una propensione alle elucubrazioni contorte del death australe dei Portal o a quello canadese degli Auroch.
L’intensità dello sforzo profuso e il clima alienante dell’album sono una leccornia, per gli extreme metaller di ampie vedute: lo stordimento che può generare un brano come la titletrack o la successiva “Self Not Self” farebbero venir voglia di chiedere una pausa, una sospensione, tanta è la tortura arrecata. Allo stesso tempo, un malsano impeto al masochismo non può che richiedere ancora cotanta fustigazione, non fosse altro che per variare nei modi, e azzannarci da più parti, scarnificando con morsi avidi le nostre orecchie. Persino equilibrato nella sua follia, “The Doorway” è disco che non deve mancare in playlist a chi non ne ha a mai a sufficienza di extreme metal corrotto dall’industrial e dal noise. Non avrebbe senso rinunciarvi.