7.5
- Band: VEXOVOID
- Durata: 00:47:42
- Disponibile dal: 11/12/2017
- Etichetta:
- Earthquake Terror Noise
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Somewhere out in space… (ringraziando in breve i Gamma Ray) una nuova realtà tricolore ha deciso di scaraventare il proprio groviglio progressivo in formato thrash direttamente sulla terra. E lo fa con un debutto davvero interessante in cui i richiami alla matrice iper-tecnica di ‘vektoriana’ memoria si innalzano palesi lungo i nove pezzi della track-list: accelerazioni improvvise e arricchimenti acustici più cadenzati creano continue dissonanze sonore, il tutto contornato da un songwriting di tutto rispetto. Un primo viaggio cosmico degno di sviluppi futuri. Arrivano dalla Toscana i Vexovoid, che già nel 2014, con l’EP targato “Heralds Of The Stars”, avevano lanciato le prime avvisaglie di una qualità strumentale non indifferente. Avvisaglie che si sono trasformate in un’autentica dichiarazione di ‘guerra spaziale’ con il qui presente “Call Of The Starforger”: poco meno di cinquanta minuti durante i quali la band guidata da Danny Brunelli (voce e basso) e Leonardo Bellavista (chitarra) riesce a trasportare l’ascoltatore in un avvolgente baillamme planetario in cui uno stranissimo ‘starforger’ si prende gioco dell’universo intero. Un sali-scendi emozionale che prende il via con “Omega Virus”: un’intro minacciosa ci porta nel bel mezzo della galassia prima che un riff più sostenuto scaldi i motori facendo definitivamente schizzare l’astronave Vexovoid. Mentre la sezione ritmica, capitanata dal duo Brunelli-Mornelli (batteria), sostiene l’andamento vorticoso del brano, è lo stesso Bellavista ad ingranare la quinta, alternando stacchi turbinosi e tecnici a passaggi più regolari e transitori come ben testimonia la parte centrale dell’opener stessa. E se il connubio technical-speed si articola ulteriormente nella successiva “Infinite Collector”, dove lo scream di Brunelli ben si innesta nelle trame astronomiche proposte dalla parte strumentale, è la radice thrash a spiccare maggiormente nella doppietta che segue. “Quantic Rupture” irrompe nello spazio con il suo incedere intimidatorio spezzato all’improvviso dalla canonica ripartenza al vetriolo che non da possibilità di sosta. Da parte sua, “Waking Mars” ricalca quanto ascoltato sino a questo punto, aumentando ancor di più il vortice sonoro creato dal terzetto senese. Ma quando tutto sembra ormai spedito verso il classico ‘punto di non ritorno’, ecco che la corsa subisce un arresto inatteso e progressivo: “Galaxy’s Echoes” porta la navicella dei Vexovoid a vagare senza metà in una sorta di iperspazio, in cui pause acustiche danno respiro a repentini scatti thrash dove Bellavista si intrufola a meraviglia tra la tele ritmiche intrecciate dagli altri compagni di viaggio; otto minuti di perfetta commistione tra thrash e progressive che conferma le potenzialità globali dei Nostri. Capacità che hanno un’unica pecca, quella di replicarsi più del dovuto. Nella seconda parte dell’album, infatti, soprattutto negli episodi più tirati, i riff tendono a somigliarsi l’un l’altro, tanto che le pur buone “Prophet Of Void” e “Hexaspark Fortress” non aggiungono alcun valore rispetto ai cinque brani proposti antecedenti. Lo stesso vale per “Dead Planets Throne” che, dal punto di vista strutturale, richiama la precedente “Quantic Rupture” facendosi comunque preferire grazie ad una maggior completezza d’insieme. A chiudere, quella che potrebbe essere definita come la title-track di “Call Of The Starforger” nonché la summa dell’intera esplorazione cosmica realizzata dai Vexovoid che, con questo debutto su Earthquake Terror Noise, salutano il vecchio anno testimoniando come lo stato di salute del thrash italiano è pronto a dare l’assalto anche nel 2018 appena iniziato.