7.5
- Band: VILDHJARTA
- Durata: 00:56:54
- Disponibile dal: 30/05/2025
- Etichetta:
- Century Media Records
- Sony
Spotify:
Apple Music:
Tre soli album in una carriera ventennale, titoli misteriosi per chi non parla svedese (e, a naso, poco chiari anche per chi lo parla), sonorità che, per essere etichettate, c’è voluto un neologismo e un’esposizione mediatica tutto sommato bassa se comparata all’impatto che hanno avuto, almeno con il primo album: alla luce di queste considerazioni, è tuttora lecito chiedersi come i Vildhjarta abbiano raggiunto una certa popolarità ed un contratto con un’etichetta quale Century Media Records, eppure gli svedesi si sono coltivati un seguito fedele ed una reputazione consolidata, a suon di riff schiacciasassi, melodie complesse e dissonanze stridenti, evolvendo la propria musica in modo coerente.
E se già i dischi precedenti non erano una passeggiata, fin dalle prime note è evidente come “+ där skogen sjunger under evighetens granar +” – titolo traducibile con qualcosa come: “Dove la foresta canta sotto gli abeti eterni” – sia ancora più ostico e pesante; in questo caso, no, non stiamo parlando dell’utilizzo della lingua svedese, ma della montagna di suoni disarmonici e degli insensati cambi di ritmo che potrebbero essere fatali per la salute di un ascoltatore non preparato.
In un cammino costante verso l’imprevedibilità, il nuovo lavoro suona ancora più estremo, sia per l’indiscutibile pesantezza sia per una complessità di soluzioni che, nonostante i pregressi, stupisce ogni volta.
Il nome dei Vildhjarta, ad inizio carriera, è stato accostato ai Meshuggah ed il paragone poteva essere corretto, non perché fossero dei semplici imitatori della band di Umeå quanto per la sperimentazione sonora che hanno sempre portato avanti ma, tuttora, l’eredità dei loro connazionali può essere individuata solamente nelle chitarre ribassate e nei tempi sincopati che abbondano nelle composizioni. Si è parlato inoltre di djent per etichettare la musica del terzetto, e anche qui si potrebbe obiettare come in questi pezzi ci sia molto altro: progressive death metal, il suffisso -core in diverse salse, parti ossessive che sfociano in rallentamenti improvvisi ed altrettanto inquietanti; tutto è caotico, rumoroso e disturbante, ma anche funzionale alle atmosfere che si vogliono generare, senza mai scivolare in tecnicismi senza scopo.
Una durata più contenuta rispetto al precedente “Måsstaden Under Vatten” (che superava gli ottanta minuti) e brani che solo in due casi eccedono i cinque minuti rendono il disco più facilmente affrontabile.
I Vildhjarta non sono per tutti, come ormai noto si è dovuto coniare il termine ‘thall’ per definire il genere che suonano, basti pensare che non sono neanche catalogati su Metal Archives (l’archivio più completo di band e artisti metal in ogni declinazione): la conseguenza è uno zoccolo duro di fan che adorano il gruppo e l’indifferenza di molti di fronte ad una proposta così ostile, ma è impossibile non riconoscere al terzetto una personalità strabordante, che l’ha condotto a costruire un suono coraggioso e distinguibile.
E’ curioso notare come, con la dipartita del chitarrista Daniel Bergström a marzo di quest’anno, non ci siano più membri fondatori in formazione, eppure lo spirito originale non sembra essersi esaurito, materializzandosi nel terzo capitolo di una saga che ha ancora molto da dire: se il suo predecessore aveva sancito un salto di qualità definitivo, “+ där skogen sjunger under evighetens granar +” rappresenta un ulteriore balzo in avanti in termini di composizione.
La scrittura di dischi così strutturati richiede anni di lavoro e non è lecito attendersi un ritorno a breve, ma già ci domandiamo quale sarà il passo successivo.