7.5
- Band: VIOLENTOR
- Durata: 00:29:41
- Disponibile dal: 20/05/2022
- Etichetta:
- Time To Kill Records
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Diamo il benvenuto ai Violentor 2.0. Sarebbe a dire? Semplice: con il quinto album in carriera, la creatura di Alessio Medici si ripresenta sotto una veste completamente rivoluzionata: logo, label, line-up, musica, tramite una sorta di ritorno alle origini del metal più oscuro e becero, inasprendo ulteriormente le coordinate del precedente lavoro con il cantato in italiano; tutto nuovo, tutto rivisto. Solo un aspetto è rimasto integro, definito, certo: il bisogno di scrivere l’ennesima pagina estrema dalle tinte rigorosamente color pece. Andiamo pero ordine, con un breve passo indietro nel tempo: dopo il marcescente “Putrid Stench”, Rot e Iago lasciavano il posto di bassista e batterista rispettivamente a Gigi (alias Luigi Corinto) e al polacco Micha. Un cambio di formazione seguito, lo scorso gennaio, dalla firma con la Time To Kill Records; tappa importante per la pubblicazione di un disco che si presenta – letteralmente e non solo – come un vero e proprio “Manifesto Di Odio”.
“Devo solo dire delle cose, prima di svegliarmi in un posto più buio del buco del culo“. Così inizia il sermone di Ale Medici, lasciando subito trasparire i toni con cui verranno lanciate le otto furenti invettive, intervallate dall’unico episodio in lingua inglese (“Ballad Of The Free Spirits”) che rallenta la furia globale permeante il resto dell’album. Greve, più del solito, l’ugola del mastermind toscano, crude le parole con le quali prende a sassate tutti i soggetti contornati dall’effigie del potere: stato, religione, polizia; dal primo all’ultimo, colpiti e affondati da un furente effetto domino, scatenato dall’assalto in blast beat soverchiato per gran parte dei ventinove minuti dallo stesso Micha. Ed è qui che troviamo il quarto ed ultimo elemento caratterizzante i Violentor di oggi: se, infatti, in “Putrid Stench” la matrice thrash si andava oscurando, in “Manifesto Di Odio” la spinta black-punk-speed con Venom, Motorhead e Mahyem in bello splendore, fieramente piallata in una versione quasi tombinale, si prende l’intera scena, pestando dall’inizio alla fine, coordinando le sfuriate di riff zincate dalla sei corde di Ale. Un moto perpetuo assolutamente inarrestabile e monolitico, al limite dell’ipnosi, capace di rendere più fluido il suono dei vocaboli proclamati in lingua madre che, come sappiamo, non è mai impresa così facile. “La Paura Uccide”, “Facciamo La Guerra”, “Senza Limite”, “Siete Tutti Morti”: una cartucciera imperante e distruttiva, suggellata dalla suadente “Tieni D’Occhio La Tua Strada” costituita da una prima parte costantemente al limite della follia prima di seguire un ritmo più cadenzato ma altrettanto penetrante. Non fanno balzi innovativi i Violentor, non era questo l’obiettivo da centrare: l’unico scopo era quello di raggruppare le migliori armi possibili per riversare sulla massa tutto il proprio disagio, malessere e la voglia di repressione nei confronti di qualsiasi cosa. Un manifesto di puro odio; e così è stato.