8.0
- Band: VIPASSI
- Durata: 00:50:13
- Disponibile dal: 26/01/2024
- Etichetta:
- Season Of Mist
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La Season Of Mist ci ha preso gusto e, dopo gli ottimi conterranei Psygnosis, fatti esordire nel 2023 con lo stupendo “Mercury” dopo lunga gavetta indipendente, propone sul mercato metallico un’altra compagine devota al verbo della musica strumentale ipertecnica ma anche emozionale. Ci spostiamo in Australia, a Melbourne, con una band nata in definitiva da una costola dei Ne Obliviscaris, i Vipassi.
Fanno parte di tale gruppo – chiaramente orientato verso la proposizione di tematiche buddiste o comunque trattanti le filosofie orientali, ovviamente non trasposte su testi ma solo attraverso partiture strumentali – il batterista Daniel Presland, nei NeO fino al 2021, ed il chitarrista francese Benjamin Baret, tuttora membro degli extreme progster australiani. Completano il quartetto l’altro chitarrista Ben Boyle ed il virtuoso bassista inglese Arran McSporran, ultimo arrivato in formazione, a questo punto da considerare di provenienza internazionale.
E’ come al solito difficile mettere in parole ciò che una musica senza il supporto della voce riesce a trasmettere, in quanto ancora molta ‘resistenza all’ascolto’ è presente oggigiorno. Certo, il pubblico metallaro, rispetto a quello popolante la massa mainstream, è in media più ‘educato’ e ricettivo nei riguardi di questo tipo di sonorità, ma – senza sembrare d’esagerare – è pur vero che la noia è sempre in agguato dietro muri di minutaggio e, come del resto accade in altri generi (il funeral doom, l’esempio più eclatante), occorre una sensibilità innata e spesso anche acquisita negli anni per poter apprezzare il genere strumentale.
E i Vipassi, nel loro strabordante sciabordio di capacità tecniche, sono capaci di non annoiare praticamente mai durante la fruizione del loro esordio sulla lunga distanza, “Lightless”, che segue di parecchi anni l’EP “Śūnyatā” (2016).
Volenti o nolenti, si sente moltissimo il retaggio compositivo dei Ne Obliviscaris, tanto che, tolte le parti di violino dei suddetti e le interazioni vocali tra Tim Charles e Xenoyr, potremmo pensare tranquillamente ad uno spin-off dei NeO in salsa, appunto, strumentale: le atmosfere sono quelle, tra il mistico, il catatonico, l’epico e l’esoterico, promulgate tramite composizioni che sfoderano passaggi ritmici di primissimo ordine; Presland, si sa, è un mostro dietro le pelli, ma fulgidissimo è tutto il lavoro spaventoso di McSporran al basso, sempre in prima linea, sempre a condurre linee vincenti e trascinanti.
Arrangiamenti di prim’ordine, che includono un uso discreto di tastiere, synth e campionamenti a mo’ di teglia di base sulla quale posizionare a scelta tutti gli altri ingredienti, caratterizzano ogni traccia della tracklist di “Lightless”, il cui unico difetto è forse quello di non essere tutte riconoscibili una dall’altra. Difatti il disco funziona ottimamente se assunto in dose intera, tutto d’un fiato, lasciandolo penetrare nelle nostre sinapsi lentamente, permettendogli di avvolgerci fra le sue spire piano piano, sperando nel suo benefico effetto a rilascio prolungato. Al contrario, se dovessimo essere costretti a citare un brano in dettaglio che emerge dal compatto lotto di canzoni, ci troveremmo in discreta difficoltà e l’unica risposta sarebbe per forza “ascoltatevelo tutto che fate prima“.
Inevitabile, d’altro canto, non notare la mastodontica lunghezza – quasi undici minuti – della suite finale “Promethea”, la summa generale di tutta la proposta Vipassi; oppure le scie mantriche e orientaleggianti che aleggiano su “Neon Rain”, spirito tribale ed evocativo spedito al fronte; o ancora la follia labirintica di “Labyrinthine Hex”, che apre compitamente le ostilità dopo la piuttosto dimessa title-track.
Sono però altri due, gli episodi che giudichiamo migliori in questo lavoro: “Morningstar”, che si stampa tra i nostri padiglioni meglio di altri e senza particolari motivi, forse per la sua grande varietà, l’imprevedibilità ed il suo tiro estremo ed insieme melodico, e “Phainesthai”, di gran lunga il più emotivamente coinvolgente del lotto, con delle sovraincisioni ad alte e basse velocità da applausi.
Un disco, “Lightless”, che parte da contorni oscuri, bui e drammatici, come annuncia il suo stesso titolo, per poi elevarsi ed esaltarsi verso un percorso che evade dalla penombra alla complicata ricerca di luce, attimi solari e divinità pacificanti. Un esercizio d’ascolto che non è una seduta di meditazione, ma quasi. Ottimo.